Noi ‘’sappiamo di esistere”, che equivale a coscienza di sé o ego, ed ecco si mettono in moto forze impersonali che noi accaparriamo creando appunto la presa di coscienza di sé. Un circolo vizioso. Questo ego arriva solo alla fine del processo, (pur credendosi l’origine) esiste solo mentre crea il concetto, ma non sparisce, anzi si rinforza ogni volta concependo quel meccanismo mentale, e finisce per immaginare che ‘’serve a qualcosa’’.
A che cosa?
A REALIZZARSI!
Ma che cosa esattamente?
La liberazione, la felicità, una società migliore, ecc. Purché trovi un problema da risolvere e così l’ego si conforta e esiste con uno scopo. In tal modo evita il dubbio terrificante che esista davvero(!) E rimanga sull’orlo del nulla….
Coscienza, conoscenza, pensiero soggetto pensante sono solo NOMI che diamo a ciò che è lo stesso processo di interazione costante tra le forze della natura, corpo compreso.
Non c’è tuttavia una coscienza ‘’individuale’’, che è inesistente al di fuori di quelle idee. Si può concludere quindi che il soggetto pensante, così importante per filosofi e studiosi, NON ESISTE.
La coscienza che sembra proiettare il suo fascio luminoso che il soggetto proietta sul mondo(apparentemente) esterno, NON ESISTE.
Che cosa intendiamo allora quando diciamo: -Sono cosciente di questo o quello?
– La coscienza è un’eco, una risonanza di certe percezioni su sé stesse.
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In definitiva la coscienza è solo la risonanza di un fatto mentale su sé stesso: il fatto mentale inoltre è solo una vibrazione che risuona su sé stessa.
Ha preso coscienza” della fame, del freddo, della mamma, ma ancora non di sé stesso. Questi fatti mentali (latte, fame, mamma ecc.) Che fanno ecco, risuonano su sé stessi e creeranno poco alla volta un nuovo solco che esprimerà altre caratteristiche, quelle della risonanza stessa che diventerà un’idea generale, ossia di coscienza che a sua volta, come le altre si rifletterà su sé stessa.
Quello che crediamo che succeda all’inizio, si rivela alla fine del processo. L’ego crede di giungere all’inizio, sono cosciente, esisto individualmente, in realtà arriva alla fine del processo. Cercherà poi disperatamente di durare, diventare qualcosa, soprattutto confermare costantemente la sua esistenza.
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Coscienza diretta: avvicino un dito a una fiamma e reagisco subito, senza veramente averne una conoscenza precisa.
Coscienza riflessa: l’ego, io, tu esistiamo. Vedo una montagna e ‘’so ‘’ che la vedo e quindi…(poi) esisto. Non è che so di esistere e poi vedo una montagna, ma ci dev’essere interazione tra il mio sistema nervoso e la montagna.
A livello della coscienza diretta vi è solo percezione senza un centro: la sofferenza si verifica solo a livello della coscienza riflessa, quando il sé nel panico disperatamente fugge o vuol cambiare la situazione.
La primissima memoria [dell’io] è il “pensiero” che esisto, così ci aggrappiamo ad esso credendo alla sua naturale continuità, ma siamo noi a immaginarla per rassicurarci: se essa sparisce durante il sonno profondo o una sincope, significa che non è permanente ma indotta e temporanea. Siamo vivi o siamo morti?…la costatazione accade solo perché lo ”sappiamo” o supponiamo.
Il risultato di questa introspezione profonda e senza sosta non è una ricerca di un “altro”, ma uno sprofondare dentro ad un pozzo senza fondo in sé stessi – se ne può vedere l’effetto soprattutto da ciò che definitivamente ci abbandona, senza alcun sforzo da parte nostra. Non sono le abitudini esteriori, legate al funzionamento fisico, anche se molte se ne vanno, ma quelle di fondo, gli interessi, le aspettative, le reazioni e i desideri incontrollabili: diventano inutili balocchi dimenticati. Si vive solamente una certezza indefinibile, dal momento che l’Assoluto NON è concepibile! Se la comprensione è totale e solida, se assimilata come un cibo nutriente, si trasforma in energia e ciò che rimane dei concetti è evacuato senza fatica alcuna. L’apparente vuoto (che molti trovano deprimente!) Lasciato dalla dissoluzione dei desideri, appagamenti o fastidi, si riempie immediatamente di calma e serenità, che si mantiene nel sottofondo di ogni azione anche energica.
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Se non pensi, se non c’è memoria, esisti, non esisti o nessuno dei due?
Essere o non essere… anzi nessuno dei due.
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Alla fine si scoprirà: “Ma non sono nemmeno il senso di essere!
EUREKA! La bolla è scoppiata, ma non mi riguarda!”
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Come potrà avere intenzioni colui che sa veramente che come entità apparente egli è vissuto?
Come potrà mai considerarsi un soggetto?
Egli avrà la certezza di cosa non è (e automaticamente dunque di quello che è).
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Vi è solo un apparente sognare (miraggio, allucinazione, illusione), come i diecimila fenomeni dovuti alle apparenti sensazioni che non sono affatto entità, ma che sembrano muoversi nell’apparente spazio-tempo.
Durante la vita quotidiana gli ‘altri’ – enti fittizi che percepiscono le nostre medesime sensazioni, sincronizzati nel tempo immaginario, sono anch’essi fenomeni – vengono percepiti o non-percepiti, come nel sognare.
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La mente alla fine perde qualunque punto di riferimento. Il ricercatore scompare e anche l’ultimo osservatore o testimone dell’essere si rivela un riferimento inventato, un’illusione.
Il sogno può continuare o meno, ma non siamo più identificati ad esso e non lo prendiamo più sul serio. Questa è la sola pratica.
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Ecco l’illusione primaria. Lo si chiama testimone, osservatore, conoscitore ecc. Ma è solo il prodotto di queste reazioni bio-chimiche precedenti e anonime. Nisargadatta M., ignaro di questo processi scientificamente trovati, parlava di “fluidi che s’incontrano” e creano l’illusione dell’io.
L’illusione primaria ci racconta che gli eventi succedono ora. Decido (o immagino di volerlo) di alzarmi dalla sedia, di aver voglia di mangiare un’arancia: credo di essere stato IO adesso a deciderlo, in realtà la ragione era già preparata prima del pensiero di agire, DOPO che l’azione era già programmata: il pensiero “io faccio questo” avviene DOPO per giustificarlo(inconsciamente).
Non c’è mai stato un “agente” e lo dicono in varie discipline o filosofie, ma effettivamente è vero: l’io sorge dopo l’evento già avvenuto.
L’illusione è che ci sia un osservatore che osserva un oggetto, un percipiente e un percepito. Il testimone di un pensiero compare CON il pensiero e non ne è separato: sorgono insieme non sono due, ma uno solo.
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