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PICCOLE ABITUDINI PER GRANDI CAMBIAMENTI - TRASFORMA LA TUA VITA UN PICCOLO PASSO PER VOLTA - James




Titolo originale: Atomic Habits. An Easy and Proven Way to Build Good Habits and Break Bad Ones



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Un’abitudine è una routine o un comportamento che viene eseguito in modo regolare e, in molti casi, automatico. Semestre dopo semestre, accumulavo abitudini, piccole ma costanti, che alla fine hanno dato risultati all’inizio inimmaginabili.


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È molto facile sopravvalutare l’importanza di un momento cruciale e sottovalutare i piccoli miglioramenti che si possono fare giorno dopo giorno. Troppo spesso ci convinciamo che grandi risultati richiedano grandi azioni: che si tratti di perdere peso, di avviare un’attività lavorativa, di scrivere un libro, di vincere un campionato o di raggiungere qualunque altro obiettivo, sottoponiamo noi stessi a una forte pressione per ottenere “lo sconvolgente miglioramento di cui tutti parleranno”.


Invece un miglioramento dell’1 per cento non è di particolare rilievo, certe volte non è nemmeno percepibile, ma può essere molto più significativo, specialmente nel lungo periodo. La differenza che un minuscolo cambiamento può fare nel corso del tempo è stupefacente. I conti sono presto fatti: se si riesce a migliorare dell’1 per cento ogni giorno per un anno, si finirà per essere trentasette volte migliori. Per contro, peggiorando dell’1 per cento per un anno si precipiterà fin quasi allo zero. Ciò che all’inizio è solo un piccolo traguardo o una minima battuta d’arresto si moltiplica in qualcosa di assai più grande.


Le abitudini sono l’interesse composto dell’automiglioramento. Esattamente come il denaro si moltiplica attraverso l’interesse composto, gli effetti delle abitudini si moltiplicano reiterandole. Sembrano fare pochissima differenza ogni giorno, eppure l’impatto che hanno nel corso dei mesi e degli anni può essere enorme. Solo quando ci si guarda indietro a distanza di due, cinque o magari dieci anni, il valore delle buone abitudini e il costo di quelle cattive si mostra in tutta la sua evidenza.


Può essere un concetto difficile da recepire nella vita di tutti i giorni. Spesso trascuriamo di fare piccoli cambiamenti perché non sembrano molto rilevanti sul momento. Se risparmiamo un po’ di denaro adesso, continuiamo comunque a non essere milionari; se andiamo in palestra tre giorni di seguito, continuiamo comunque a essere fuori forma; se stasera studiamo cinese per un’ora, continuiamo comunque a non sapere la lingua. Facciamo qualche cambiamento, ma i risultati sembrano non arrivare mai in breve tempo, e così ricadiamo nelle nostre abitudini precedenti.

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1 per cento di miglioramento al giorno.

Gli effetti delle piccole abitudini vengono capitalizzati nel tempo. Per esempio, se riuscissimo a migliorare solo dell’1 per cento ogni giorno, ci ritroveremmo con risultati quasi trentasette volte migliori dopo un anno.


Purtroppo la lentezza della trasformazione fa sì che rischiamo di scivolare di nuovo nelle cattive abitudini. Se oggi consumiamo un pasto poco sano, la bilancia non si muoverà granché. Se stasera lavoriamo fino a tardi e trascuriamo la famiglia, ci perdoneranno. Se continuiamo a procrastinare e rimandiamo a domani un progetto, ci sarà comunque tempo per portarlo a termine. Una singola decisione è facile da ignorare.


Ma se ripetiamo un 1 per cento di errori giorno dopo giorno, reiterando le decisioni sbagliate, moltiplicando gli errori veniali e razionalizzando le scusanti, le nostre piccole scelte verranno capitalizzate trasformandosi in un risultato dannoso. È l’accumulo di tanti passi falsi – un 1 per cento in meno qua e là – che alla fine porta ad avere un problema.

Detto ciò, non ha nessuna importanza quanto successo abbiamo o non abbiamo in questo momento. La cosa importante è se le nostre abitudini ci stiano portando sulla strada del successo. Dovremmo preoccuparci molto di più della nostra attuale traiettoria invece che degli attuali risultati. Se siamo milionari ma spendiamo ogni mese più di quello che guadagniamo, allora la traiettoria è sbagliata: se non cambiamo le nostre abitudini di spesa andrà a finire male. Al contrario, se siamo al verde ma risparmiamo un po’ ogni mese, allora siamo sulla strada che porta all’indipendenza economica, anche se procediamo più lentamente di quanto vorremmo.


I risultati che otteniamo non sono indicatori attendibili delle nostre abitudini. Il saldo del conto in banca non è un indicatore attendibile delle nostre abitudini di spesa. Il peso sulla bilancia non è un indicatore attendibile delle nostre abitudini alimentari. Le cose che sappiamo non sono un indicatore attendibile delle nostre abitudini di studio. Il disordine in casa non è un indicatore attendibile delle nostre abitudini di pulizia. Si raccoglie ciò che si semina (ripetutamente).


Se vogliamo una previsione di dove ci porterà la vita, non dobbiamo fare altro che seguire la curva dei piccoli guadagni e delle piccole perdite, e vedere in tal modo quale sarà il risultato delle nostre scelte quotidiane tra dieci o vent’anni. Stiamo spendendo, mensilmente, meno di quello che guadagniamo? Riusciamo ad andare in palestra tutte le settimane? Leggiamo libri e impariamo qualcosa di nuovo ogni giorno? Piccolissime battaglie come queste sono quelle che definiscono chi saremo in futuro.


Il tempo enfatizza il confine tra successo e fallimento. Moltiplicherà qualunque cosa gli diamo in pasto. Le buone abitudini fanno del tempo il nostro alleato, quelle cattive ne fanno il nostro nemico.


Le abitudini sono un’arma a doppio taglio. Quelle cattive sono in grado di distruggerci con la stessa facilità con cui quelle buone possono farci crescere, ed ecco perché comprenderne i dettagli è fondamentale. Bisogna sapere come funzionano le abitudini e come programmarle a proprio piacimento, in modo da evitare il lato pericoloso della lama.


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In cosa consiste davvero il progresso

Immaginiamo che ci sia un cubetto di ghiaccio sul tavolo davanti a noi. La stanza è fredda e il nostro respiro si condensa. La temperatura è di sette gradi sotto zero. Molto molto lentamente, la stanza comincia a riscaldarsi.


Meno sei gradi.


Meno cinque.


Meno quattro.


Il cubetto di ghiaccio è ancora lì sul tavolo davanti a noi.


Meno tre gradi.


Meno due.


Meno uno.


Continua a non succedere niente.


Poi, zero gradi. Il ghiaccio comincia a sciogliersi. Una variazione di un grado, apparentemente non dissimile dagli aumenti di temperatura precedenti, ha condotto a un enorme cambiamento.


I momenti di svolta sono spesso il risultato di molte azioni precedenti, che hanno costruito il potenziale richiesto per scatenare un cambiamento importante. Questo schema si ripresenta ovunque. Il cancro permane in uno stato non rilevabile per l’80 per cento della sua esistenza, poi prende il sopravvento sul corpo nel giro di qualche mese. Il bambù è quasi invisibile per i primi cinque anni, durante i quali espande un vasto sistema di radici sotto terra, per poi esplodere e crescere fino a un’altezza di trenta metri in sei settimane.


Allo stesso modo, le abitudini spesso non sembrano fare differenza finché non si supera una soglia critica, sbloccando un nuovo livello di prestazioni. Nella fase iniziale e centrale di qualunque impresa ci si ritrova spesso in una Valle della Delusione: ci si aspetta di fare progressi in modo lineare, ed è frustrante vedere quanto possono apparire inefficaci i cambiamenti nel corso dei primi giorni, settimane e anche mesi. Sembra di non andare da nessuna parte. È la caratteristica di qualunque processo di capitalizzazione: i risultati più eclatanti sono posticipati.


Questa è una delle ragioni fondamentali per cui è così difficile acquisire abitudini durature. Le persone apportano piccoli cambiamenti, non vedono risultati tangibili, e decidono di smettere. Pensano: “È un mese che vado a correre tutti i giorni, perché non vedo cambiamenti nel mio corpo?”. Quando questo genere di pensieri prende il sopravvento, è facile lasciar perdere le buone abitudini. Ma per poter fare una differenza significativa, le abitudini devono perdurare abbastanza da superare questo livello critico, quello che io definisco il “Livello del Potenziale Latente”.


Se ci accorgiamo di fare fatica a instaurare una buona abitudine o ad abbandonarne una cattiva, non è perché abbiamo perso la capacità di migliorare: spesso è perché non abbiamo ancora superato il Livello del Potenziale Latente. Lamentarsi di non aver ottenuto niente nonostante il duro lavoro è come lamentarsi del cubetto di ghiaccio che non si scioglie nonostante lo abbiamo riscaldato da -7 a -1 gradi. Il duro lavoro non è andato sprecato, ma tutto succederà a zero gradi.


Quando poi, finalmente, riusciremo a superare il Livello del Potenziale Latente, la gente dirà che il nostro è stato un successo improvviso. Dall’esterno, infatti, si vede solo il momento più eclatante, e non tutto quello che lo ha preceduto. Ma noi sapremo che è stato tutto il lavoro svolto in precedenza, quando sembrava di non fare alcun progresso, a rendere possibile lo scatto di oggi.


È l’equivalente umano della pressione geologica: due placche tettoniche possono scorrere l’una contro l’altra per milioni di anni, e per tutto questo tempo la tensione cresce lentamente. Poi, un giorno, sfregano ancora una volta, come hanno fatto per secoli, ma stavolta la tensione è troppo forte e ne scaturisce un terremoto. Il mutamento può richiedere anni, per poi manifestarsi tutto in una volta.


La padronanza richiede pazienza. I San Antonio Spurs, una delle squadre di pallacanestro di maggior successo nella storia dell’NBA, hanno appeso nello spogliatoio una citazione del riformatore sociale Jacob Riis: “Quando sembra che niente mi venga in aiuto, vado a osservare un tagliapietre che prende a martellate la sua pietra forse anche cento volte senza che compaia nemmeno una crepa. Poi, al centunesimo colpo, la pietra si spacca in due, e io so che non è stato grazie a quell’ultimo colpo, ma a tutti quelli prima”.


Tutte le grandi cose partono da piccoli inizi. Il seme di ogni abitudine è un’unica minuscola decisione. Ma reiterando quella decisione, un’abitudine germoglia e diventa più forte. Le radici si rafforzano e i rami crescono. Perdere una cattiva abitudine è come sradicare una robusta quercia cresciuta dentro di noi. E prendere una buona abitudine è come coltivare un fiore delicato, giorno dopo giorno.


Ma cos’è che determina se riusciremo a perseverare in un’abitudine abbastanza a lungo da sopravvivere al Livello del Potenziale Latente, superarlo e passare oltre? Che cos’è che induce alcune persone a scivolare in abitudini indesiderate e invece permette ad altre di godersi la capitalizzazione delle buone abitudini?


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Spesso ci aspettiamo che i progressi siano lineari. Quantomeno, speriamo che arrivino rapidamente. In realtà i risultati dei nostri sforzi spesso si vedono dopo un po’ di tempo. Solo a distanza di mesi o anni ci rendiamo conto del vero valore del lavoro fatto precedentemente. Questo può portare a una Valle della Delusione in cui le persone si sentono scoraggiate dopo settimane o mesi di duro lavoro senza notare alcun risultato. Tuttavia quel duro lavoro non è perduto: è stato semplicemente accantonato. Solo molto più tardi il valore degli sforzi fatti si rivelerà appieno.


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Un metodo di piccole abitudini

Se abbiamo difficoltà a cambiare le nostre abitudini, il problema non siamo noi: il problema è il metodo. Le cattive abitudini si ripresentano continuamente non perché noi non vogliamo cambiare, ma perché stiamo usando il metodo sbagliato per farlo.


Non ci si eleva al livello dei nostri obiettivi, si scende al livello del nostro metodo.


Concentrarsi sul metodo in generale, invece che sul singolo obiettivo, è una delle tematiche centrali di questo libro. Le piccole abitudini sono cambiamenti minuscoli, guadagni marginali, miglioramenti dell’1 per cento. Tuttavia non si tratta di vecchie abitudini qualsiasi, purché piccole: come atomi, fanno parte di un sistema più grande, sono i mattoni che costruiscono risultati importanti.


Le abitudini sono come gli atomi della nostra vita. Ciascuna è un’unità fondamentale che contribuisce al nostro miglioramento generale. All’inizio, queste piccolissime routine sembrano banali, ma ben presto si rafforzano l’un l’altra e alimentano vittorie più grandi, che si moltiplicano fino al punto di superare largamente il costo del loro investimento iniziale. Sono minuscole e potenti al contempo, proprio come atomi: si traducono in una pratica regolare o in una routine che non solo è piccola e semplice da eseguire, ma è anche la fonte di un incredibile potere, una componente del metodo di crescita per capitalizzazione.


Riepilogo

Le abitudini sono l’interesse composto dell’automiglioramento. Migliorare di un 1 per cento ogni giorno si trasforma in un risultato importante nel lungo periodo.

Le abitudini sono un’arma a doppio taglio, possono operare per noi o contro di noi, ed ecco perché comprenderle nel dettaglio è essenziale.

I piccoli cambiamenti spesso sembrano non fare alcuna differenza fino a quando non si attraversa una soglia critica. I risultati più eclatanti di qualunque processo di interesse composto arrivano dopo un po’ di tempo, bisogna avere pazienza.

Una piccola abitudine è parte di un metodo più ampio. Così come gli atomi sono i mattoni che costruiscono le molecole, le piccole abitudini sono i mattoni che costruiscono risultati importanti.

Se volete ottenere risultati migliori, non perdete tempo a prefissarvi degli obiettivi. Concentratevi invece sul sistema.

Non ci si eleva al livello dei nostri obiettivi, si scende al livello del nostro metodo.

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Cambiare le nostre abitudini è complicato per due ragioni: 1) cerchiamo di cambiare la cosa sbagliata, e 2) cerchiamo di farlo nel modo sbagliato. In questo capitolo analizzerò il primo punto, nei capitoli seguenti prenderò in esame il secondo.


Il primo errore che commettiamo è cercare di cambiare la cosa sbagliata. Per capire cosa intendo, consideriamo che esistono tre possibili livelli di cambiamento. Possiamo immaginarli come gli strati di una cipolla.


Il primo livello consiste nel cambiare i risultati. Perdere peso, pubblicare un libro, vincere un campionato: la maggior parte degli obiettivi che ci prefiggiamo è associata a questo livello di cambiamento.

Il secondo livello consiste nel cambiare il procedimento. Si tratta di modificare abitudini e metodi: avviare una nuova sequenza di esercizi in palestra, riordinare e sgombrare la scrivania per lavorare meglio, adottare una pratica di meditazione. La maggior parte delle abitudini che instauriamo è associata a questo livello.

Il terzo e più profondo livello consiste nel cambiare la propria identità. Si tratta di modificare le proprie convinzioni: la visione e il giudizio che abbiamo del mondo, degli altri e di noi stessi. La maggior parte delle convinzioni, dei presupposti e dei preconcetti che abbiamo è associata a questo livello.


I risultati riguardano ciò che si ottiene, il procedimento riguarda ciò che si fa, l’identità riguarda ciò in cui si crede. Se l’obiettivo è instaurare abitudini durature – adottare il metodo dei miglioramenti dell’1 per cento – il problema non è che un livello sia “migliore” o “peggiore” di un altro. Tutti i livelli di cambiamento sono utili a loro modo. Il problema è la direzione del cambiamento.


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Il modo più efficace per cambiare le abitudini è concentrarsi non su ciò che si vuole ottenere ma su chi si vuole diventare.

L’identità emerge dalle abitudini. Ogni azione che compiamo è un voto per il tipo di persona che desideriamo essere.

Diventare la versione migliore di se stessi richiede una continua revisione delle proprie convinzioni, e l’espansione e l’aggiornamento della propria identità.

Il vero motivo per cui le abitudini sono importanti non è perché possono portarci a risultati migliori (benché siano in grado di farlo), ma perché possono modificare le nostre convinzioni su noi stessi.


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Ogni volta che vogliamo cambiare il nostro comportamento basta semplicemente domandarsi:


Come posso fare in modo che sia evidente?

Come posso fare in modo che sia attraente?

Come posso fare in modo che sia facile?

Come posso fare in modo che sia soddisfacente?


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Una delle maggiori difficoltà nel cambiare le abitudini è conservare la consapevolezza di ciò che stiamo facendo. Il che contribuisce a spiegare perché le conseguenze delle cattive abitudini possono coglierci di sorpresa. Ci occorre un sistema “punta e chiama” per la nostra vita. È questo che sta alla base del Segnapunti delle Abitudini, un semplice esercizio del quale possiamo servirci per diventare più consapevoli dei nostri gesti. Per crearvene uno, fate una lista delle vostre abitudini quotidiane.


Ecco un esempio di come potrebbe iniziare la lista:


Svegliarsi

Spegnere la sveglia

Controllare il cellulare

Andare in bagno

Pesarsi

Fare la doccia

Lavarsi i denti

Usare il filo interdentale

Mettersi il deodorante

Mettere ad asciugare il telo da bagno

Vestirsi

Preparare una tazza di tè

... e così via.


Una volta completata la lista, osservate ogni gesto e domandatevi: “È una buona abitudine, una cattiva abitudine o un’abitudine neutra?”. Se è buona, segnatela con un “+”, se è cattiva con un “–”, se è neutra con un “=”.


Per esempio, la lista di prima potrebbe risultare così:


Svegliarsi =

Spegnere la sveglia =

Controllare il cellulare –

Andare in bagno =

Pesarsi +

Fare la doccia +

Lavarsi i denti +

Usare il filo interdentale +

Mettersi il deodorante +

Mettere ad asciugare il telo da bagno =

Vestirsi =

Preparare una tazza di tè +

I punti che attribuite a ogni abitudine dipendono dalla vostra situazione e dai vostri obiettivi. Per chi sta cercando di dimagrire, mangiare un panino con burro di arachidi tutte le mattine può essere una cattiva abitudine. Per chi sta cercando di prendere peso e aumentare la muscolatura, la stessa abitudine può essere buona. Tutto dipende dall’obiettivo per cui stiamo lavorando.**


Attribuire un punteggio alle abitudini può essere un po’ più complicato anche per un altro motivo. Le definizioni di “buona abitudine” e “cattiva abitudine” sono leggermente imprecise. Non esistono buone e cattive abitudini, solo abitudini efficaci. Cioè: efficaci per la soluzione dei problemi. Tutte le abitudini sono utili in un certo senso – anche quelle cattive – ed è per questo che le reiteriamo. Per questo specifico esercizio, catalogate le abitudini a seconda di quanto beneficio portano nel lungo periodo. In linea generale, le buone abitudini danno al netto risultati positivi, quelle cattive danno al netto risultati negativi. Fumare una sigaretta può ridurre lo stress in questo preciso momento (e in questo senso è utile), ma non è un comportamento salutare nel lungo periodo.


Se avete ancora difficoltà a stabilire come classificare una particolare abitudine, potete farvi questa domanda: “Questo comportamento mi aiuta a diventare il genere di persona che voglio essere? Questa abitudine dà un voto a favore o contro l’identità che desidero?”. Le abitudini che rafforzano l’identità desiderata sono di solito buone. Quelle che entrano in conflitto con essa sono di solito cattive.


Quando create il vostro Segnapunti delle Abitudini, all’inizio non occorre cambiare niente. L’obiettivo è solamente notare che cosa stia effettivamente accadendo. Osservate i vostri pensieri e le vostre azioni senza giudicare o essere critici. Non biasimatevi per le vostre mancanze e non lodatevi per i vostri successi.


Se mangiate una tavoletta di cioccolato tutte le mattine, riconoscetelo, quasi come se steste osservando un’altra persona. Oh, è interessante che faccia una cosa del genere. Se mangiate senza controllo, limitatevi a notare che state introducendo più calorie del dovuto. Se perdete tempo online, notate che state vivendo la vostra vita come non vorreste.


Il primo passo per cambiare le cattive abitudini è dar loro la caccia. Se vi sembra di aver bisogno di un aiuto in più, potete provare ad applicare il “punta e chiama” alla vostra vita. Dite ad alta voce quale azione state per fare e quale risultato avrà. Se volete contenere l’abitudine di consumare cibo spazzatura, ma vi accorgete che state per prendere un altro biscotto, dite ad alta voce: «Sto per mangiare questo biscotto, ma non ne ho bisogno. Mangiarlo mi farà aumentare di peso e danneggerà la mia salute».


Sentire le cattive abitudini pronunciate ad alta voce fa apparire più reali le conseguenze. Dà peso all’azione e non vi permette di lasciarvi andare distrattamente ai soliti comportamenti. Questo approccio è utile anche se state semplicemente cercando di ricordare una cosa che dovete fare. Basta dire ad alta voce: “Domani dopo pranzo devo andare all’ufficio postale”, e ci saranno molte più probabilità che lo facciate davvero. State facendo notare a voi stessi la necessità di compiere un’azione, e questo può fare la differenza.


Il processo di cambiamento di un comportamento inizia con la consapevolezza. Strategie come il “punta e chiama” e il Segnapunti delle Abitudini servono a permettervi di riconoscere le abitudini e i segnali che le innescano, e questo vi consente di rispondere nel modo più conveniente per voi.

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la routine mattutina di abitudini accumulate potrebbe essere simile a questa:


Dopo essermi fatto la mia tazza di caffè mattutina, mediterò per sessanta secondi.

Dopo aver meditato per sessanta secondi, scriverò una lista di cose da fare durante la giornata.

Dopo aver scritto la mia lista di cose da fare, comincerò immediatamente con la prima in elenco.

Oppure ecco un esempio di Abitudini Impilate serali:


Dopo aver finito di cenare, metterò i piatti direttamente nella lavastoviglie.

Dopo aver messo via i piatti, pulirò subito il bancone di cucina.

Dopo aver pulito il bancone di cucina, preparerò la tazza per il caffè della mattina dopo.

Si possono anche inserire nuovi comportamenti in mezzo alla routine attuale. Per esempio, potreste già avere una routine mattutina come questa: Mi sveglio > Rifaccio il letto > Faccio la doccia. Diciamo che volete prendere l’abitudine di leggere di più tutte le sere. Potete ampliare le vostre Abitudini Impilate e provare una cosa del genere: Mi sveglio > Rifaccio il letto > Metto un libro sul cuscino > Faccio la doccia. Ora, tutte le sere, quando andrete a letto ci sarà un libro ad aspettarvi, pronto da leggere.


In generale, le Abitudini Impilate consentono di creare una serie di semplici regole che ci guideranno nel comportamento futuro. È come se avessimo sempre un piano strategico per sapere quale azione fare dopo. Una volta che avete preso confidenza con questo approccio, si potranno creare delle Abitudini Impilate generali capaci di fare da guida ogni volta che la situazione lo consente:


Esercizio fisico. Quando vedo una rampa di scale, salgo a piedi invece di prendere l’ascensore.

Rapporti sociali. Quando vado a una festa, mi presento a una persona che non conosco.

Economia. Se voglio comprare qualcosa che costa più di cento dollari, aspetto ventiquattro ore prima di acquistarla.

Sana alimentazione. Quando mi preparo da mangiare, per prima cosa metto sempre nel piatto le verdure.

Minimalismo. Quando compro un oggetto nuovo, ne do via uno vecchio. (“Una cosa entra, una cosa esce.”)

Umore. Quando il telefono suona, faccio un respiro profondo e sorrido prima di rispondere.

Smemoratezza. Quando esco, controllo il tavolo e le sedie per assicurarmi di non lasciare niente.

In qualunque modo si usi questa strategia, il segreto per accumulare abitudini in modo efficace è scegliere il segnale giusto che faccia da innesco. A differenza dell’intenzione di implementazione, che dichiara con esattezza il momento e il luogo per eseguire un certo comportamento, il metodo delle Abitudini Impilate prevede implicitamente un dato luogo e un dato momento. Dove e quando scegliamo di inserire un’abitudine nella routine quotidiana può fare una grande differenza. Se stiamo cercando di aggiungere la meditazione alla routine del mattino, ma le mattine sono caotiche e i bambini continuano a correre di qua e di là per la stanza, probabilmente quello non è il momento né il luogo giusto. Teniamo in considerazione quando abbiamo più possibilità di riuscire a rispettare l’abitudine. Non pretendiamo di farlo quando è probabile che saremo occupati con qualcos’altro.


Il segnale deve anche avere la stessa frequenza dell’abitudine desiderata. Se vogliamo fare una certa attività ogni giorno ma accumuliamo l’abitudine su un’altra che accade solo di lunedì, non è una buona idea.


Un sistema per trovare l’innesco giusto per le Abitudini Impilate è buttare giù una lista delle abitudini che abbiamo già. Come punto di partenza si può usare il Segnapunti delle Abitudini, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente. Oppure potete fare una lista a due colonne: nella prima scrivete le abitudini che rispettate immancabilmente ogni giorno.


Per esempio:


Alzarsi dal letto

Fare la doccia

Lavarsi i denti

Vestirsi

Fare il caffè

Fare colazione

Portare i bimbi a scuola

Iniziare a lavorare

Pranzare

Finire di lavorare

Cambiarsi d’abito

Cenare a tavola

Spegnere le luci

Andare a letto

La lista può essere molto più lunga, ma avete capito l’idea. Nella seconda colonna scrivete tutte le cose che succedono immancabilmente ogni giorno. Per esempio:


Il sole sorge

Arriva un sms

La canzone che sto ascoltando finisce

Il sole tramonta

Armati di queste due liste, potete cominciare a cercare il punto migliore in cui inserire una nuova abitudine nel vostro stile di vita. Il criterio delle Abitudini Impilate funziona al meglio quando il segnale è molto specifico e immediatamente fattibile. Molte persone scelgono segnali troppo vaghi. Io stesso ho commesso questo errore. Quando volevo prendere l’abitudine di fare i piegamenti sulle braccia, le mie Abitudini Impilate erano: “Durante la pausa pranzo, faccio dieci piegamenti”. A prima vista sembrava sensato, ma ben presto mi sono reso conto che l’innesco non era chiaro. Dovevo fare i piegamenti prima di pranzo? Dopo pranzo? E dove dovevo farli? Dopo un paio di giorni inconcludenti, ho modificato così le mie Abitudini Impilate: “Quando chiudo il portatile per la pausa pranzo, faccio dieci piegamenti di fianco alla scrivania”. Fine dell’ambiguità.


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Abitudini quali “leggere di più” o “mangiare meglio” sono propositi lodevoli, ma non forniscono istruzioni su come e quando farlo. Siate precisi e chiari. Dopo aver chiuso la porta. Dopo essermi lavato i denti. Dopo essermi seduto a tavola. La precisione è importante. Più la nuova abitudine è strettamente collegata a un segnale preciso, e più probabilità ci sono che capirete quando è il momento di eseguirla.


La Prima Legge del Cambiamento di Comportamento è fa’ in modo che sia evidente.


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Ecco alcuni modi per riprogettare l’ambiente e rendere più evidenti i segnali che innescano le abitudini preferite:


Se volete ricordarvi di prendere una medicina tutte le sere, mettete il barattolino delle pillole proprio accanto al rubinetto del lavandino in bagno.

Se volete esercitarvi più spesso con la chitarra, mettete lo strumento in mezzo al soggiorno.

Se volete ricordarvi di spedire più biglietti di ringraziamento, tenete un po’ di carta da lettere sulla scrivania.

Se volete bere più acqua, riempite alcune bottiglie tutte le mattine e mettetele nelle stanze della casa in cui state più spesso.


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Le cattive abitudini sono autocatalitiche: il processo si alimenta da sé. Esse incoraggiano le sensazioni che cercano di sopire: ci sentiamo giù, e allora mangiamo cibo spazzatura. Siccome abbiamo mangiato cibo spazzatura, ci sentiamo giù. Guardare la televisione ci fa sentire apatici, e così guardiamo ancora più televisione perché non abbiamo la forza di fare altro. Preoccuparci per la salute ci mette ansia, il che ci induce a fumare per mitigarla, cosa che peggiora ulteriormente la nostra salute, facendoci ben presto essere ancora più in ansia. È una spirale negativa, un circolo vizioso di cattive abitudini.


Gli studiosi definiscono questo fenomeno “desiderio indotto da segnali”: un innesco esterno provoca un desiderio compulsivo di reiterare una cattiva abitudine. Se notiamo qualcosa, cominciamo a desiderarla. Accade continuamente, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Gli studiosi hanno scoperto che mostrare ai tossicodipendenti un’immagine della cocaina per soli trentatré millisecondi stimola nel cervello il sistema di gratificazione e scatena il desiderio. È un tempo troppo breve perché il cervello possa consciamente registrare l’immagine, i tossicodipendenti non sapevano nemmeno dire che cosa avessero visto, eppure desideravano lo stesso la droga.


L’approccio più affidabile consiste nel tagliare alla radice le cattive abitudini. Uno dei sistemi più pratici per farlo è ridurre l’esposizione ai segnali che le innescano.


Se vi sembra di non riuscire a combinare niente, lasciate il telefono in un’altra stanza per qualche ora.

Se avete continuamente l’impressione di non valere niente, smettete di seguire sui social media persone che vi scatenano gelosia e invidia.

Se sprecate troppo tempo a guardare la televisione, togliete il televisore dalla camera da letto.

Se giocate troppo ai videogiochi, staccate la console e riponetela nell’armadio dopo ogni utilizzo.

Se spendete troppo in gingilli elettronici, smettete di leggere le recensioni degli ultimi prodotti usciti sul mercato.

Questo sistema è il ribaltamento della Prima Legge del Cambiamento di Comportamento: invece di fare in modo che sia evidente, si può fare in modo che sia invisibile. Spesso mi stupisco di quanto siano efficaci piccoli cambiamenti come questo: eliminando un unico segnale, l’intera abitudine spesso svanirà.


L’autocontrollo è una strategia a breve termine, non a lungo termine. Magari riuscirete a resistere alla tentazione un paio di volte, ma difficilmente avrete la forza di volontà necessaria a contrastare sempre i vostri desideri. Invece di raccogliere altra forza di volontà ogni volta che volete fare la cosa giusta, userete meglio le vostre energie se ottimizzerete l’ambiente. È questo il segreto dell’autocontrollo. Fate in modo che i segnali delle vostre buone abitudini siano evidenti e che quelli delle cattive abitudini siano invisibili.


Riepilogo

Il ribaltamento della Prima Legge del Cambiamento di Comportamento è: fa’ in modo che sia invisibile.

Una volta instaurata un’abitudine, è difficile dimenticarla.

Le persone dotate di grande autocontrollo tendono a passare meno tempo in situazioni di forte tentazione. È più facile evitare le tentazioni che resistervi.

Uno dei sistemi più pratici per eliminare una cattiva abitudine è ridurre l’esposizione al segnale che la innesca.

L’autocontrollo è una strategia a breve termine, non a lungo termine.


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Potete persino combinare il raggruppamento delle tentazioni con la strategia delle Abitudini Impilate di cui abbiamo parlato nel capitolo 5, per creare una serie di regole che guidino il vostro comportamento.


La formula per le Abitudini Impilate + il raggruppamento delle tentazioni è: Dopo [ABITUDINE ATTUALE], io [ABITUDINE NECESSARIA]. Dopo [ABITUDINE NECESSARIA], io [ABITUDINE DESIDERATA].


Se volete leggere il giornale ma dovete abituarvi a esprimere più spesso la vostra gratitudine:


Dopo aver preso il caffè la mattina, nominerò una cosa accaduta ieri di cui sono grato (necessario).

Dopo aver nominato una cosa di cui sono grato, leggerò il giornale (desiderato).

Se volete guardare una trasmissione sportiva ma dovete fare delle telefonate di lavoro:


Dopo essere tornato dalla pausa pranzo, chiamerò tre potenziali clienti (necessario).

Dopo aver chiamato tre potenziali clienti, guarderò il canale sportivo (desiderato).

Se volete controllare Facebook ma dovete fare più attività fisica:


Dopo aver preso in mano il telefono, farò dieci burpee (necessario).

Dopo aver fatto dieci burpee, controllerò Facebook (desiderato).

La speranza è che alla fine non vedrete l’ora di chiamare tre clienti o fare dieci burpee perché questo significa che poi potrete leggere le ultime notizie sportive o controllare Facebook. Fare ciò che è necessario significa poter poi dedicarsi a ciò che desideriamo.


Abbiamo iniziato questo capitolo parlando di stimoli supernormali, che sono versioni esagerate della realtà capaci di aumentare il nostro desiderio di eseguire un’azione. Il raggruppamento delle tentazioni è un sistema per creare una versione esagerata di una qualunque abitudine collegandola a qualcosa che già desideriamo. Progettare un’abitudine veramente irresistibile è un arduo compito, ma questa semplice strategia può essere utilizzata per fare in modo che un’abitudine sia più attraente di quanto lo sarebbe altrimenti.


Riepilogo


La Seconda Legge del Cambiamento di Comportamento è: fa’ in modo che sia attraente.

Più un’opportunità è attraente, più è probabile che dia origine a un’abitudine.

Le abitudini sono un ciclo di retroazione da dopamina. Quando la dopamina aumenta, aumenta anche la nostra motivazione ad agire.

È l’aspettativa di una gratificazione – non il suo ottenimento – che ci induce ad agire. Più l’anticipazione è grande, più alto sarà il picco di dopamina.

Il raggruppamento delle tentazioni è un sistema per rendere più attraenti le abitudini che abbiamo. La strategia consiste nell’associare un’azione che vogliamo fare con una che è necessario compiere.


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Ogni comportamento ha un livello superficiale di desiderio e una motivazione più profonda e basilare.

Le nostre abitudini sono soluzioni moderne a desideri antichi.

La causa delle abitudini è di fatto la previsione che le precede. Queste previsioni generano sensazioni.

Sottolineate i benefici derivanti dall’evitare una cattiva abitudine per farla apparire sgradevole.

Le abitudini sono attraenti quando le associamo a sensazioni positive, e sgradevoli quando le associamo a sensazioni negative. Createvi un rituale motivazionale facendo qualcosa che vi piace immediatamente prima di passare a un’abitudine difficile.


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La forma di apprendimento più efficace è l’esercizio, non la programmazione.

Concentratevi sull’entrare in azione, non sull’essere in movimento.

La formazione di un’abitudine è il processo grazie al quale un comportamento diventa progressivamente più automatico attraverso la reiterazione.

Non è tanto importante da quanto tempo praticate un’abitudine, ma quante volte l’avete praticata.


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Create un ambiente in cui fare la cosa giusta sia il più facile possibile.

Riducete l’attrito associato ai comportamenti positivi. Se l’attrito è basso, le abitudini sono facili.

Aumentate l’attrito associato ai comportamenti negativi. Se l’attrito è alto, le abitudini sono difficili.

Preparate il vostro ambiente in modo che le azioni future siano facili.


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La differenza fra una buona e una cattiva giornata consiste spesso in poche scelte produttive e salutari fatte nei momenti decisivi. Ciascuno è come un bivio lungo il percorso, e le scelte che si accumulano nell’arco della giornata possono infine condurre a esiti molto diversi tra loro.


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Le abitudini sono come le rampe di accesso all’autostrada: ci portano su un determinato percorso e senza che nemmeno ce ne accorgiamo stiamo già viaggiando a tutta velocità verso il prossimo comportamento. Sembra più facile continuare a fare quello che stiamo già facendo piuttosto che iniziare una cosa diversa. Rimaniamo a guardare un brutto film per due ore, continuiamo a mangiucchiare stuzzichini anche se siamo già pieni, controlliamo il telefono “solo un attimo” ed ecco che abbiamo passato venti minuti a fissare lo schermo. In questo modo le abitudini che seguiamo senza pensare spesso determinano le decisioni che prendiamo quando pensiamo.

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La Regola dei Due Minuti

Anche se sappiamo che è bene cominciare a piccoli passi, è facile che succeda di partire troppo alla grande. Quando sogniamo di fare un cambiamento, l’entusiasmo inevitabilmente prende il sopravvento e finiamo per cercare di fare troppe cose troppo presto. Il sistema più efficace che conosco per contrastare questa tendenza è utilizzare la Regola dei Due Minuti, che dice: “Quando inizi una nuova abitudine, deve prenderti meno di due minuti”.


Scoprirete che praticamente qualunque abitudine può essere ridotta a una versione da due minuti:


“Leggere ogni sera prima di andare a letto” diventa “Leggere una pagina”.

“Fare mezz’ora di yoga” diventa “Tirare fuori il tappetino da yoga”.

“Studiare la lezione” diventa “Aprire il quaderno degli appunti”.

“Piegare il bucato lavato” diventa “Piegare un paio di calzini”.

“Correre per quattro chilometri” diventa “Allacciarsi le scarpe da corsa”.

L’idea è rendere le abitudini più facili possibile all’inizio. Chiunque è in grado di meditare per un minuto, di leggere una pagina o di mettere via un vestito. E, come abbiamo già visto, questa è una strategia efficacissima, perché una volta iniziato a fare la cosa giusta è molto più semplice continuare a farla. Una nuova abitudine non deve dare l’impressione di essere un’impresa. Le azioni a seguire saranno magari un’impresa, ma i primi due minuti devono essere facili. Quella che vogliamo ottenere è un’“abitudine di accesso” che ci conduca naturalmente a un percorso più produttivo.


Per individuare le abitudini di accesso che ci porteranno al risultato desiderato, possiamo solitamente collocare i nostri obiettivi su una scala che va da “molto facile” a “molto difficile”. Per esempio, correre una maratona è molto difficile. Correre una cinque chilometri è difficile. Camminare per diecimila passi è moderatamente difficile. Camminare per dieci minuti è facile. E indossare le scarpe da corsa è molto facile. L’obiettivo sarà magari correre una maratona, ma l’abitudine di accesso è indossare le scarpe da corsa. Ecco come seguire la Regola dei Due Minuti.


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Le abitudini possono concludersi nell’arco di pochi secondi ma continuare ad avere un impatto sul nostro comportamento per i minuti o le ore a seguire.

Molte abitudini si collocano in momenti decisivi – scelte che sono come bivi – e possono indirizzarci verso una giornata produttiva oppure improduttiva.

La Regola dei Due Minuti recita: “Quando inizi una nuova abitudine, deve prenderti meno di due minuti”.

Più si ritualizza l’inizio di un processo, più è probabile riuscire a entrare nello stato di profonda concentrazione necessario per fare grandi cose.

Standardizzare prima di ottimizzare. Non si può migliorare un’abitudine che non esiste ancora.


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Sfruttare la tecnologia per automatizzare le nostre abitudini è il sistema più efficace per garantire il comportamento giusto.


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Il Rendiconto dell’Abitudine è un sistema semplice per tenere traccia del fatto che abbiamo mantenuto un’abitudine, per esempio facendo una croce sul calendario.

Un Rendiconto dell’Abitudine e altre forme visive di misurazione possono rendere soddisfacenti le abitudini dandoci la prova inconfutabile dei nostri progressi.

Non interrompete la serie. Cercate di tenere sempre viva l’abitudine.

Non saltate mai due volte. Se saltate per un giorno, cercate di rimettervi in carreggiata il prima possibile.

Solo perché una cosa può essere misurata, non significa che sia la più importante.


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La peggiore minaccia per il successo non è il fallimento ma la noia.

Via via che le abitudini diventano routine, diventano anche meno interessanti e meno soddisfacenti. Cominciamo ad annoiarci.

Chiunque è capace di lavorare sodo quando si sente motivato. È la capacità di non mollare quando il lavoro non è entusiasmante che fa la differenza.

I professionisti si attengono al programma, i dilettanti lasciano che la vita si metta di mezzo.


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Il vantaggio delle abitudini è che possiamo fare le cose senza pensarci. Lo svantaggio è che smettiamo di fare caso ai piccoli errori.

Abitudini + Allenamento consapevole = Eccellenza

La riflessione e la revisione sono un processo che ci permette di essere sempre consapevoli delle nostre prestazioni nel corso del tempo.

Più ci aggrappiamo a un’identità, più difficile sarà superarla per crescere.


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La consapevolezza viene prima del desiderio. Un desiderio si genera quando attribuiamo significato a un segnale. Il cervello costruisce un’emozione o una sensazione per descrivere la nostra attuale condizione e questo significa che un desiderio può esistere solo dopo aver notato un’opportunità.


La felicità è semplicemente l’assenza di desiderio. Quando osserviamo un segnale ma non desideriamo cambiare il nostro stato, siamo soddisfatti della condizione attuale. La felicità non è raggiungere il piacere (quello è gioia o soddisfazione) ma non avere desiderio. La proviamo quando non avvertiamo il bisogno di avere sensazioni diverse. La felicità è lo stato in cui entriamo quando non vogliamo più cambiare il nostro stato.


Tuttavia la felicità è fuggevole, perché arriva sempre un nuovo desiderio. Come dice Caed Budris: “La felicità è lo spazio tra la soddisfazione di un desiderio e la formazione di un altro desiderio”. Allo stesso modo, la sofferenza è lo spazio tra la brama di un cambiamento di stato e il suo raggiungimento.


È l’idea di piacere ciò che inseguiamo. Noi ricerchiamo l’immagine del piacere che generiamo nella nostra mente. Al momento dell’azione non sappiamo come sarà ottenere quell’immagine (e nemmeno se ci darà soddisfazione). La sensazione di soddisfazione arriva solo dopo. È questo che intendeva il neurologo austriaco Viktor Frankl quando ha detto che la felicità non può essere perseguita, deve accadere. Il desiderio si persegue, il piacere accade in conseguenza dell’azione.


La pace si trova quando non trasformiamo le nostre osservazioni in problemi. Il primo passo in qualunque comportamento è l’osservazione. Notiamo un segnale, un’informazione, un evento. Se non desideriamo agire in conseguenza di ciò che osserviamo, allora siamo in pace.


Il desiderio sta nel voler sistemare tutto. L’osservazione senza desiderio è rendersi conto che non abbiamo bisogno di sistemare niente. I nostri desideri non sono privi di controllo. Noi non desideriamo un cambiamento di stato. La nostra mente non genera un problema affinché lo risolviamo. Ci limitiamo a osservare ed esistere.


Con un perché abbastanza grande possiamo superare qualunque come. Friedrich Nietzsche, il filosofo e poeta tedesco, ha scritto la famosa frase: “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”. In essa è contenuta un’importante verità sul comportamento umano: se la nostra motivazione e il nostro desiderio sono abbastanza forti (vale a dire il perché noi agiamo), agiremo anche quando è molto difficile farlo. Un grande desiderio può spingere a una grande azione, anche quando l’attrito è forte.


Essere curiosi è meglio che essere intelligenti. Essere motivati e curiosi vale di più che essere intelligenti, perché induce all’azione. Essere intelligenti non darà mai dei risultati di per sé, perché non ci spinge ad agire. È il desiderio, non l’intelligenza, che motiva il comportamento. Come dice Naval Ravikant: “Il segreto per fare qualunque cosa è prima di tutto coltivarne il desiderio”.


Le emozioni guidano il cambiamento. Ogni decisione, a un certo livello, è una decisione emotiva. Qualunque sia la ragione logica per cui agiamo, ci sentiamo spinti a farlo solo a causa dell’emozione. Infatti le persone con danni ai centri emozionali del cervello possono elencare molte ragioni per motivare un’azione eppure non agire, perché non hanno emozioni che li spingono a farlo. Ecco perché il desiderio viene prima della risposta. Prima viene la sensazione e dopo il comportamento.


Possiamo essere razionali e logici solo dopo essere stati emotivi. La modalità primaria del cervello è percepire, quella secondaria è pensare. La nostra prima reazione – la parte del cervello rapida e inconscia – è ottimizzata per percepire e prevedere. La nostra seconda reazione – la parte del cervello lenta e conscia – è quella che si occupa del “pensare”.


Gli psicologi parlano di Sistema 1 (sensazioni e valutazioni rapide) e Sistema 2 (analisi razionale). La sensazione arriva per prima (Sistema 1), la razionalità interviene solo dopo (Sistema 2). Tutto ciò funziona perfettamente quando le due modalità sono allineate, ma quando non lo sono si generano pensieri emotivi e illogici.


La reazione tende a seguire le emozioni. I nostri pensieri e le nostre azioni hanno le loro radici in ciò che troviamo attraente, non necessariamente in ciò che è logico. Due persone possono notare la stessa sequenza di fatti e reagire in modo molto diverso, perché quei fatti passano attraverso il loro personale filtro emotivo. È uno dei motivi per cui appellarsi alle emozioni è di solito molto più efficace che appellarsi alla ragione. Se in una persona un argomento provoca una reazione emotiva, difficilmente sarà interessata ai dati fattuali. Ecco perché le emozioni possono compromettere gravemente un processo decisionale sensato.


Per dirla in un altro modo: molti ritengono che la risposta ragionevole sia quella che produce un beneficio per loro, quella che dà soddisfazione ai loro desideri. Approcciarsi a una situazione da una posizione emotivamente più neutrale ci permette di basare la nostra risposta sui dati fattuali invece che sulle emozioni.


La sofferenza alimenta il progresso. La fonte di tutte le sofferenze è il desiderio di un cambiamento di stato. È anche la fonte di tutti i progressi. Il desiderio di cambiare il nostro stato è ciò che ci spinge ad agire. È volere di più che spinge l’umanità a ricercare i miglioramenti, a sviluppare nuove tecnologie, a raggiungere livelli più elevati. Con il desiderio siamo insoddisfatti ma motivati. Senza desiderio siamo soddisfatti ma privi di ambizione.


Le nostre azioni rivelano con quanta forza vogliamo qualcosa. Se continuiamo a dire che una certa cosa è la nostra priorità ma non agiamo mai di conseguenza, allora non la vogliamo veramente. È ora di essere onesti con noi stessi. Le nostre azioni hanno rivelato le nostre vere motivazioni.


La gratificazione è l’altra faccia del sacrificio. Una gratificazione è un risultato che dà soddisfazione al nostro desiderio. Questo rende inefficace l’autocontrollo, perché inibire i desideri di solito non li risolve. Resistere alla tentazione non dà soddisfazione al desiderio, semplicemente lo ignora. Crea uno spazio perché il desiderio possa essere superato. L’autocontrollo implica abbandonare un desiderio invece che soddisfarlo.


Le aspettative determinano la nostra soddisfazione. La distanza tra i nostri desideri e le gratificazioni determina il livello di soddisfazione che proviamo nell’agire. Se lo scarto tra le aspettative e gli esiti è positivo (sorpresa e piacere) sarà più probabile che reitereremo il comportamento in futuro. Se lo scarto è negativo (delusione e frustrazione), sarà meno probabile.


Per esempio, se ci aspettiamo di ottenere dieci dollari e ne otteniamo cento, ci sentiremo benissimo. Se ci aspettiamo di ottenerne cento e ne otteniamo dieci, saremo delusi. L’aspettativa altera la soddisfazione. Un’esperienza di livello medio preceduta da alte aspettative è una delusione. Un’esperienza di livello medio preceduta da basse aspettative è un piacere. Quando l’apprezzamento e il desiderio sono più o meno pari, ci sentiamo soddisfatti.


Soddisfazione = Apprezzamento – Desiderio


Questo è il senso della famosa frase di Seneca “essere poveri non è avere troppo poco ma volere di più”. Se ciò che vogliamo è sempre un passo più in là di ciò che apprezziamo, saremo sempre insoddisfatti. Stiamo continuamente dando più peso al problema che alla soluzione.


La felicità è relativa. Quando ho iniziato a condividere pubblicamente ciò che scrivevo, mi ci sono voluti tre mesi per arrivare a mille iscritti. Raggiunto quell’obiettivo, l’ho detto ai miei genitori e alla mia ragazza. Abbiamo festeggiato. Mi sentivo emozionato e motivato. Pochi anni dopo mi sono reso conto che ogni giorno c’erano mille nuove iscrizioni, eppure non mi è nemmeno venuto in mente di dirlo a qualcuno. Mi sembrava normale. Stavo ottenendo risultati novanta volte più velocemente di prima ma la cosa non mi dava particolare piacere. Solo alcuni giorni dopo mi sono reso conto che era assurdo da parte mia non celebrare qualcosa che solo pochi anni prima mi sarebbe sembrato un sogno irraggiungibile.


La sofferenza del fallimento è proporzionale al livello di aspettativa. Quando il desiderio è forte, fa male non apprezzare il risultato. Non riuscire a ottenere qualcosa che vogliamo fa più male che non riuscire a ottenere qualcosa a cui non avevamo fatto granché caso all’inizio. È per questo che si dice “non voglio sperarci troppo”.


Le sensazioni vengono sia prima che dopo il comportamento. Prima di agire c’è una sensazione che ci motiva a farlo: il desiderio. Dopo aver agito c’è una sensazione che ci insegna a reiterare l’azione in futuro: la gratificazione.


Segnale > Desiderio (Sensazione) > Risposta > Gratificazione (Sensazione)


Ciò che proviamo influenza il nostro modo di agire, e il nostro modo di agire influenza ciò che proviamo.


Il desiderio innesca, il piacere sostiene. Desiderio e apprezzamento sono i due motori del comportamento. Se non è desiderabile non abbiamo motivo per farlo. Il desiderio è ciò che innesca un comportamento, ma se non è piacevole non abbiamo motivo di reiterarlo. Il piacere e la soddisfazione sono ciò che sostiene un comportamento. Sentirci motivati ci induce ad agire, sentire di avere successo ci induce a reiterare l’azione.


La speranza declina con l’esperienza e viene sostituita dall’accettazione. La prima volta che un’opportunità si presenta, c’è speranza in ciò che potrà accadere. La nostra aspettativa (desiderio) è basata esclusivamente sulla promessa. La seconda volta, l’aspettativa è fondata sulla realtà. Cominciamo a comprendere come funzionano le cose e la speranza viene via via sostituita da una più accurata previsione e accettazione del probabile esito.


È uno dei motivi per cui siamo continuamente tentati dall’ultima novità in fatto di tattiche per diventare ricchi in fretta o per perdere peso. I nuovi programmi ci offrono speranza perché non abbiamo alcuna esperienza su cui fondare le nostre aspettative. Le nuove strategie sembrano più interessanti delle vecchie perché non pongono limiti alla speranza. Come notava Aristotele, i giovani si fanno ingannare facilmente perché sono facili alla speranza. Forse si potrebbe riformulare in “i giovani si fanno ingannare facilmente perché non hanno che la speranza”. Non hanno alcuna esperienza su cui fondare le aspettative. All’inizio, la speranza è tutto ciò che abbiamo.

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