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CHI SONO IO? - Spiegazione dell'auto-indagine promossa da Ramana Maharshi


L’auto-indagine suggerita da Ramana va condotta con l’atteggiamento corretto. Ad esempio non bisognerebbe nutrire avversione, astio, rancore nei confronti dell’ego. Non occorre tribolare interiormente così da respingere in malo modo le tendenze egoistiche. Durante l’auto-indagine è sufficiente osservare in modo imparziale l’origine dell’ego, curiosare in se stessi esaminando serenamente il senso dell’io.

Questo è il succo del lavoro interiore suggerito da Ramana.

Dal suo punto di vista non occorre altro. Ma affinché funzioni va eseguito correttamente.

Il buon ricercatore non si dovrebbe aspettare ingenuamente che l’ego favorisca e faciliti l’estinzione dell’ego.

L’ego, di sua iniziativa, non vorrebbe morire, dissolversi, sciogliersi. Non vorrebbe neppure defilarsi momentaneamente.

Non vuole consumarsi deliberatamente. Non vuole sacrificarsi per il Sé.

Di conseguenza, affinché il lavoro interiore funzioni, occorre giocare d’anticipo, con astuzia.

Per fare in modo che l’io si consumi occorre fare in modo che la mente vada alla ricerca del senso dell’io. Occorre che l’io vada alla ricerca dell’io. Occorre che il piccolo sé vada alla ricerca di Sé.

Il bello di questa indagine è che non occorre trovare una risposta verbale, concettuale, linguistica. Anche perché non verrebbe trovata. Quel che viene trovato alla fine dell’indagine è qualcosa che l’io non si potrebbe mai aspettare. L’astuzia di questa procedura sta all’inizio, non alla fine: sta nel convincere l’io ad iniziare correttamente l’auto-indagine.

Sembra banale, ma molte volte l’indagine di sé viene soltanto simulata, scimmiottata, imitata e poi abbandonata in quattro e quattr’otto. Oppure viene condotta sbrigativamente e conclusa frettolosamente, accontentandosi della prima risposta prodotta dall’intelletto (“io sono colui che sono” – “io sono il figlio di Dio”, “io sono Shiva” – etc. ).

Diffidate delle frasi fatte con cui la mente risponderà meccanicamente all’auto-indagine, ripetendo automaticamente ciò che ha letto o sentito qua e là. Dopo la prima risposta automatica, incalzate con tranquillità chiedendo di nuovo “io chi?”, “cos’è l’io?”.

Non stancatevi di spingere la mente sempre più indietro, verso l’origine di sé. La spinta deve essere leggera, delicata, paziente, senza ansia né frenesia. In questa sottile e paziente auto-indagine si verifica la graduale consumazione dell’ego.

Ribadisco che alla fine la mente si dovrà trovare in una fase di stallo, impasse, paralisi, sospensione, interdizione.

L’auto-indagine, eseguita correttamente, consiste in una procedura che porta inevitabilmente allo scacco matto.

Scacco matto all’ego.

Scacco matto all’io.

Scacco matto alla mente.

Per arrivare allo scacco matto interiore non occorrono molte mosse. La mossa principale è sempre la stessa: un risoluto movimento a ritroso, verso il Sé, verso l’origine, verso la Sorgente.

Il segreto di questa mossa mentale è invitare con calma l’io ad andare alla ricerca di sé. Mediante l’attenzione della propria mente bisogna spingersi il più indietro possibile, scovare cosa c’è dietro al senso dell’io.

Non dovrei anticiparvi cosa succede, ma visto che la procedura corretta è a prova di auto-sabotaggi, immune dalle seccanti interferenze con cui una parte della mente cercherà di sabotare il lavoro interiore, posso darvi tranquillamente qualche anticipazione.

Mentre la mente del ricercatore ricerca la sorgente dell’io, il senso dell’io pian piano si disperde, si dilegua, svanisce. Inizialmente il processo avviene in maniera quasi impercettibile. In questa fase iniziale occorre evitare di nutrire particolari aspettative. Le aspettative dell’ego sono un perfetto esempio di auto-sabotaggio. Facendo credere che debba succedere immediatamente qualcosa di speciale riesce a deviare l’attenzione dal lavoro interiore, interrompere l’auto-osservazione e mandare temporaneamente all’aria il lavoro che avete condotta fono a quel momento. La delusione che farà sorgere è uno degli stratagemmi per portare l’attenzione fuori, al mondo delle apparenze esterne. In queste occasioni non dovete far altro che riportare dolcemente l’attenzione dentro, riportarla al punto in cui eravate rimasti.

Non disperate, non demordete ai primi pseudo-fallimenti. Gli pseudo-fallimenti, le afflizioni, le delusioni sono meccanismi inconsci di auto-sabotaggio. Riconosceteli come tali e poi dateci sotto con l’osservazione lucida di tutti i processi interiori.

A un certo punto potreste accorgervi che siete vicini allo scacco matto. Vedrete l’intelletto in grosse difficoltà, crogiolarsi nel tentativo di produrre pensieri chiaramente fuorvianti… andrà avanti e indietro ripetendo le stesse mosse. In pratica non farà più niente: non vi sembrerà più così minaccioso, dispotico, ingestibile, insopportabile come sembrava inizialmente. Questo vuol dire che sta esaurendo le sue strategie. Si sta scaricando e indebolendo.

È in questa fase che potete riconoscere bene l’estinzione dell’ego, la dispersione del senso dell’io. Ora potete comprendere cosa vuol dire che l’ego non esiste. Ora potete intravederlo come un’illusione, qualcosa di inesistente che sembrava esistere a causa di un’infondata credenza, una forte identificazione, un intenso attaccamento emotivo.

Ora, senza scontrarvi con l’ego o senza volerlo mandare via in malo modo, state per ottenere l’obiettivo desiderato.

Ed è bastato soltanto suggerire correttamente e pazientemente alla mente di andare alla ricerca della vera Sorgente della mente stessa.

P.S.

Questo approccio si avvicina per certi versi a quello di tanti mistici, la cui anima si lascia consumare nell’amor divino, fino a sentirsi unita a Dio, al Tutto. Nell’ottica dell’auto-indagine, più ci si avvicina a Dio, più l’io si consuma.

Più ci si fonde con la Totalità dell’Essere, più il senso dell’io si scoglie.

Più ci si lega al Sé, più ci si slega dall’ego.




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