Tratto dalla mia terza trilogia “Senz’io si vive da Dio“
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C’era una volta un piccolo sé – per gli amici “io” – che decise di intraprendere un lungo viaggio, ma a un certo punto – non si sa come o perché – il piccolo sé si dimenticò di sé.
Completamente disorientato all’interno di un universo ricco di infinite variabili, cominciò ad andare alla ricerca della propria identità, ritenendo plausibile che il modo migliore per ritrovare se stesso fosse quello di chiederlo agli altri.
Che genio!
Fu così che iniziarono le sue disavventure.
Trascorreva buona parte della sua vita a fermare dei perfetti sconosciuti e porre loro la fatidica domanda: “chi sono io?”.
Gli altri, da bravi sputasentenze, fornivano con incredibile dovizia di dettagli l’identità di questo piccolo io. Peccato che spesso l’opinione dell’uno cozzava con quella dell’altro, quasi come se l’arte dell’ingannarsi a vicenda fosse il passatempo preferito dell’umanità.
L’iniziazione avvenne incontrando dei tizi che dicevano all’io che lui era un falegname… Così l’io cominciò a fare le sue prime seghe (mentali).
Insoddisfatto di questa prima identità, si rivolse ad altri sapientoni. Questi gli dicevano che lui era, anzi che lui “doveva essere” un servo di Dio. Ecco che allora l’io indossò i panni del valente paladino di Dio. Questo durò un paio di vite, ma dopo si accorse che c’era qualcosa che non quadrava, che forse lui non era solo un servo, seppur dell’Altissimo. Forse, diceva tra sé e sé, io son qualcosa d’altro.
Tuttavia nei paraggi non c’era verso di trovare qualcuno che gli fornisse una risposta chiara, coerente e soprattutto semplice. Tutti si aggrappavano a immensi specchi, infarcivano l’io di concetti, astrazioni, valori morali, sistemi di credenze estremamente complessi, quasi a voler insabbiare il reale con la fantasia, occultare la semplicità con mille complicati paroloni, paroloni che avevano scarsa attinenza con la realtà. A causa di questa costante dissonanza cognitiva il seme del dubbio si riversò in lui.
La domanda chiave (chi sono io?) lo assillava sempre più, e più gli altri lo aiutavano – a loro dire – a trovare se stesso e più lui si sentiva smarrito, lontano da se stesso.
Era ancora lontano dal capire che era sbagliato cercare fuori quel che si trovava dentro, ma dato che la maggioranza faceva così gli pareva ragionevole seguire il gregge, seppure fosse palesemente incoerente.
Sempre più irritato da quelle risposte, si spostò verso Oriente e si mise a seguire i passi dei famosi ricercatori della verità. In fondo i saggi – almeno in teoria – dovevano saperla più lunga.
Ma quando mai?!?
E infatti si trovò immerso in una sfilza di guide spirituali più sciroccate di lui. Alcune gli dicevano che era un avatar (avariato) di Shiva, altri lo descrivevano come un arcangelo in incognito caduto in questa dimensione inferiore, altri ancora gli dicevano che era un licantropo proveniente da Sirio e che se avesse ululato sotto la luna piena sarebbe arrivata una navicella spaziale di extraterrestri “evoluti” che lo avrebbe riportato a casa.
Morale della favola, questo io che inizialmente cercava solo se stesso finì per essere tutto e tutti tranne ciò che era realmente.
Caro lettore, se non l’avevi ancora capito, quell’io smemorato sei tu!
Quell’io, la cui identità è stata sadicamente smembrata in mille pezzettini dati in pasto agli avvoltoi, è proprio il tuo io!
Alla luce di ciò, se hai ancora intenzione di andare avanti così, se hai ancora intenzione di chiedere agli altri chi sei, ti meriti di smarrirti nuovamente e di subire tutto quello che stai subendo da millenni!
Quando invece smetterai di cercarti là fuori allora troverai il meritato riposo dal tuo faticoso percorso e potrai finalmente abbandonare l’inutile viaggio dell’io.
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