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Solo per darti la minima idea di quanta energia sprechi nel ‘dare apparente vita’ al personaggio con cui ti identifichi ogni giorno. Pensa a tutto il tempo, lo sforzo e l’energia che impieghi per proiettarti nel mondo. Pensa alla costante attenzione impiegata ad analizzare il tuo ruolo sociale; rifletti sulla fatica richiesta per recitare il ruolo di te stesso. Quindi, una volta che ti sei fatto un’idea di ciò che implica questo incessante sforzo per esibirti, apparire, mostrarti e proiettarti nel mondo, prova a immaginare di non farlo più, di non essere più obbligato a mantenere la maschera abituale, non essere più tenuto a fare il pagliaccio sociale. Immagina il sollievo di non doverti sforzare di apparire in un certo modo. Immagina se potessi smettere di essere ‘te stesso’ e potessi semplicemente ‘essere’. Come sarebbe diversa la tua vita se non dovessi continuare a lottare contro ogni circostanza della vita? Come sarebbe il rapporto con te stesso se non dovessi più complottare, attaccare, accanirti contro te stesso? Come sarebbe se potessi semplicemente esistere e accettarti totalmente in ogni momento della giornata? Come sarebbe non dover sostenere un’autoimmagine personale, senza il dovere di alterarla, abbellirla, migliorarla?
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E poi c’è l’altro lato della medaglia, il rapporto con gli altri. Dall’altra parte c’è l’immagine sociale; c’è il tuo obbligo (sociale) di mantenere l’immagine che gli altri hanno di te. Allo stesso modo gli altri si sentono obbligati – sempre socialmente – a dover mantenere una loro precisa immagine. Dento di te c’è una tensione continua dovuta allo sforzo richiesto per fare una bella impressione con gli altri: lo sforzo di essere riconosciuti, accettati, apprezzati, stimati. Così, mentre tu rifletti la loro immagine, loro riflettono la tua immagine. In questo modo sostenete a vicenda una simulazione sociale dopo l’altra n maniera tale da proteggere reciprocamente il vostro ego, la vostra autoimmagine.
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