La Beatitudine appartiene a quell'individuo sommamente pigro per il quale anche il chiudere o l'aprire gli occhi rappresenta un atto completamente inutile - Ashtavarkra Gita.
Parecchi anni fa, quando mi fingevo un ricercatore spirituale, contattai una comunità spirituale che si incontrava regolarmente a Livorno. Gli incontri avvenivano d'estate, in una zona vicino al mare. Con poco più di 100 euro avevi vitto e alloggio, più altri servizi accessori. Non mi lasciai sfuggire l'occasione.
Il mio scopo era principalmente quello di farmi una settimana al mare, nella speranza di incontrare qualche giovincella prosperosa da sverginare (sverginare spiritualmente, s'intende), e stare in compagnia di qualche hippy desideroso di alterare la coscienza con qualche molecola dello spirito (Dmt, Ayahuasca e compagnia bella). Presto mi dovetti ricredere: la droga non era vista di buon occhio, anche quando si trattava di una sostanza secreta in modo naturale dal corpo stesso.
Nel giro di qualche settimana mi sgamarono alla grande.
Arrivavo in ritardo alle sessioni meditative, mi perdevo il discorso del Maestro, non mi facevo coinvolgere dalle altre attività.
Avevano scoperto che "mi fingevo" un ricercatore, ma non sapevo di essere talmente imbranato da fallire anche in quel compito. Il punto non è che non sapevo fingere di credere nella ricerca spirituale, ma che non riuscivo a fingere di credere in nulla; è stato così per tutta la vita. Non ho mai creduto a nulla di ciò che facevo. Ciò che facevo mi sembrava faceto. E questo non per depressione, insicurezza, dubbi esistenziali, crisi sentimentali. No, tutt'altro. Avevo soltanto avuto la sfortuna (o fortuna) di riconoscere l'ipnosi collettiva, ciò che in seguito ho definito sogno planetario. Nel tempo ho trovato termini come disincanto e Risveglio che hanno dato un senso al mio senso di estraniamento dal sogno. Non ero io a non capire o a non credere; era ciò che mi circondava ad essere ridicolo, insensato, non credibile.
Ma all'epoca non potevo mica spiegare a quella gente che per me si trattava di un sogno, o che per me loro, incluso il Maestro, erano soltanto dei ridicoli personaggi onirici. Dopo avrei perso tutti i privilegi di quella vacanza spirituale.
Anche se mi avevano sgamato dovevo fingere di essere davvero interessato alle sessioni di meditazione, alla lettura dei Veda, alle riflessioni degli altri ricercatori, ai commenti del Maestro. Alla fine la mia perseveranza nel fare il bravo ricercatore venne ripagata: ad ogni colazione, pranzo e cena c'era da leccarsi i baffi, con roba squisita, genuina, fatta in casa.
La giornata che ricordo più di tutte fu quella in cui il Maestro accese l'incenso e chiese a tutti i partecipanti di chiudere gli occhi per iniziare una sessione di meditazione.
Tutti avevano gli occhi chiusi.
Tutti tranne me, ovviamente.
Mentre i mantra accompagnavano l'inspirazione e l'espirazione, io mi guardavo attorno. Mi godevo l'atmosfera mistica. Guardavo il volto serio, concentrato, imperturbabile, di alcuni meditatori. Altri non erano proprio concentrati perché russavano, però magari si trovavano interiormente nel quarto stato del Turiya. Mentre esploravo la sala incrociai involontariamente lo sguardo del Maestro. Anche lui aveva gli occhi aperti. Accidenti, mi aveva sgamato di nuovo. Chissà se stava meditando ad occhi aperti o se si era semplicemente distratto.
Terminata la sessione cominciò il consueto giro di domande e il primo che interrogò fu il sottoscritto.
Mi chiese:
Come mai non hai chiuso gli occhi?
Sei uno dei pochi che medita ad occhi aperti.
Non sarebbe meglio tenerli chiusi per aumentare la concentrazione?
La mia risposta fu:
Per me non fa differenza.
Un'illusione ad occhi aperti vale come un'illusione ad occhi chiusi.
Credo che il Maestro non la prese bene, o forse era stupito dalla risposta, e dopo una breve pausa, ribatté:
"Vuoi provare a fare il Maestro? Vuoi venire tu a sederti al mio posto?"
Non sapevo se la sua era una domanda retorica, se era un complimento alla mia osservazione sull'illusorietà del mondo visto ad occhi aperti/chiusi, o se era soltanto la prima cosa che gli era saltata in mente.
Conclusa quella settimana cominciai a scrivere le bozze dei miei primi libri, e mentre spulciavo qualche testo spirituale, il mio occhio cadde su una frase dell'Ashtavraka Gita:
"La Beatitudine appartiene a quell'individuo sommamente pigro per il quale anche il chiudere o l'aprire gli occhi rappresenta un atto completamente inutile."
A quanto pare, anche se mi fingevo un ricercatore spirituale, ci avevo visto giusto... E quella pura consapevolezza non ha richiesto nessuno sforzo, nessuna sessione meditativa, nessuna iniziazione, nessun mantra propiziatorio. Soltanto un puro disincanto.
Forse avrei dovuto accettare l'invito del Maestro.
Tanto cosa cambia tra fingersi ricercatore e fingersi Maestro?
Entrambi sono soltanto ridicoli personaggi animati dalla credenza nel sogno planetario.
Che figata il disincanto.
( ⱫɆⱤØ )
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