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ZeRo Metodo – Vol. 1 – Anteprima Cap. 3




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Al termine dell’incontro, Francesco e Zero si salutarono e ognuno proseguì per la propria strada.

Il torrente di pioggia si era interrotto e non appena Francesco uscì dal bar vide un viso familiare.

– “Ehi, Fra!”, gridò qualcuno.

Due figure sospette, vestite con una giacca in pelle, sbucarono fuori dalla nebbia.

Francesco riconobbe quei personaggi e gli venne da sorridere.

– “Bastardi, come state?”, chiese Francesco.

– “Abbiamo provato a contattarti, scemo”, disse Fabio. “”Il tuo telefono era spento”.

– “Ero impegnato”.

– “Ok, ma ora bisogna passare agli affari”, aggiunse Robert, mentre stringeva tra le mani una busta – “Abbiamo ricevuto questo messaggio dal boss”.

All’interno della busta c’era la lista dei loro “clienti”, o meglio la lista dei loro debitori. In quella lista ci saranno stati almeno venti nomi.

Venti soggetti di qualunque etnia, qualsiasi età, qualsiasi attività, e tutti avevano qualcosa in comune: avevano tutti i minuti contati. Le povere vittime che avevano stretto un patto con “Francesco & Company” avevano superato la scadenza concessa da quella banda di malviventi. Quello di Francesco si poteva effettivamente definire un lavoro sporco.

– “Chi è il prossimo?”, chiese Francesco.

– “Luigi. L’anziano con il negozio di scarpe. Gli ho ripetuto che se vuole la nostra protezione deve rispettare i tempi che abbiamo stabilito. Ma visto il ritardo, credo che gli serva un’altra lezione”.

Francesco era un po’ stanco: “Non possiamo rimandare a domani?”.

– “No, dobbiamo farlo stanotte. L’esitazione è un segno di debolezza”.

Più tardi si radunarono tutti e tre nei pressi del negozio di Luigi.

Francesco stava dietro perché non era il leader. Lui non voleva essere il leader del gruppo perché quel tipo di leader è quello che di solito ci lascia subito le penne. Tuttavia egli sarebbe stato un ottimo leader visto che era quello più portato per guidare e aiutare gli altri membri della gang. Era il più anziano del gruppetto, quello con più esperienza, il più furbo e anche il più cinico e spietato. Però era anche l’unico che era ufficialmente fidanzato, e visto il suo passato preferiva mantenere separato il lavoro dalla sua vita privata. Loro non sapevano che lavoro facesse Giulia, la ragazza di Francesco. E lei a sua volta non sapeva quale fosse di preciso il lavoro del suo caro Francesco. Comunque a lui andava bene così: gli piaceva passare da una vita all’altra, con la massima discrezione. Quello che Francesco non aveva considerato è che il tizio del bar avrebbe stravolto la sua vita, facendo trapelare anche i suoi segreti più intimi.

Arrivati al negozio, completamente chiuso, tirarono fuori qualcosa dalle tasche.

– “Quanto vuoi essere discreto questa volta, Francesco?”

– “Poco discreto. In queste circostanze preferisco essere più rude del solito”.

Francesco guardò in alto e vide il balcone del proprietario, Luigi.

Quei tre avevano intenzione di svegliarlo nel bel mezzo della notte. Cercarono qualche appiglio, e con un po’ di agilità e destrezza raggiunsero la camera del primo piano. Gli anni da apprendista di parkour e di free climbing alla fine gli servirono a qualcosa.

Ruppero la vetrata, ma l’allarme scattò immediatamente.

La tensione salì. I tre cominciarono a muoversi con meno destrezza, tentando velocemente di raggiungere il proprietario. Una volta acciuffato, lo costrinsero a spegnere l’allarme. Se fino ad ora quell’uomo non li aveva presi seriamente, adesso lo avrebbe dovuto fare e la storia sarebbe dovuta cambiare. L’anziano signore aveva il viso terrorizzato, balbettava dalla paura e tremava dall’ansia. Uno di quei tre stava puntando un coltello contro la schiena del signore. Ora sì che Luigi stava prendendo la faccenda sul serio.

– “Ciao amicone, ti ricordi di noi?”, chiese Fabio, il più spiritoso dei tre.

– “Ce… Ce… Certo che mi ricordo”, balbettò il povero Luigi.

– “Non mi sembra che ti sia ricordato bene, perché noto un ritardo nei pagamenti”, aggiunse Robert, il più diffidente del gruppo.

– “Mi dovete perdonare, ho avuto delle difficoltà”.

– “Perdonare? Ti sembra che siamo in chiesa”, ribatté Fabio.

– “Vi prego, perdonatemi…”, implorò Luigi.

Francesco diede una rapida occhiata fuori. Via libera, sotto al balcone non c’era nessuno. Poi diede un’altra occhiata al negozio. Vedeva solo un mucchio di inutili scarpe. Dal suo punto di vista quel vecchio non avrebbe mai saldato alcun debito, ma gli altri due sembravano non accorgersene. Non a caso i più scaltri non erano loro due, e Luigi lo aveva intuito fin da subito.

– “Fra, dammi un po’ di tempo?”, chiese il proprietario del negozio.

– “Fra? Per te sono il signor Francesco…”

– “Signor Francesco, per fav…”

– “Nessun favore”.

– “Dammi soltanto una settimana…”

– “Vedremo. Intanto che siamo qui ti diamo una bella lezione. Ehi, Fabio, Robert, prendete quel vecchiaccio. Lo portiamo a fare un giro”.

I due scagnozzi presero l’anziano da dietro e lo spostarono di peso come se fosse un banale manichino. Luigi era talmente rassegnato che non chiese neppure dove lo stessero conducendo.

– “Fra, dove andiamo?”, chiese Fabio.

– “Andiamo a fare un bel tatuaggio”.

Uscirono dal negozio di scarpe e si recarono verso un piccolo locale.

L’insegna indicava “chiuso”.

Francesco bussò un paio di volte. Nessuna risposta. Al terzo tentativo si presentò un ragazzo che aprì la porta e disse: “Siamo chiusi, tornate più tardi…”.

Il giovanotto non riuscì a finire la frase che Francesco gli batté la porta sul muso. Il ragazzo subì un tale urto da inciampare da solo, cadendo all’indietro, con il naso che perdeva sangue.

– “Adesso è aperto”, sentenziò Francesco.

– “Ci serve un tatuaggio per questo signore. Ma non disturbarti, ci arrangiamo”.

Obbligarono il signore a rimanere seduto sulla postazione dei tattoo, presero dell’inchiostro e lo mostrarono a Luigi.

– “Sai Luigi che ci sono forme di tortura che prevedono l’inchiostro? Una volta assistetti a una specie di rituale dove il povero malcapitato doveva bere dell’inchiostro. Come puoi ben immaginare non si tratta di una bella esperienza. Quella sostanza va diritta nei polmoni, diffondendosi a macchia d’olio all’interno di cavità chiamate alveoli, le quali estraggono l’ossigeno dall’aria. Quel poveretto ingoiò una dose eccessiva, imbrattando la parete polmonare e impedendo completamente la respirazione. In un attimo quel ragazzino si soffocò. Sai quanto deve essere strana e indesiderata quella fottuta sensazione di non poter respirare?”

Luigi era immobilizzato dal terrore. Non dovevano neppure stringerlo o forzarlo a stare seduto. Chiuse forte gli occhi, aspettandosi il peggio.

Ma quello di Francesco era soltanto un ammonimento. Gli versò solo una piccola goccia di inchiostro sulla fronte.

– “Tranquillo Luigi, non voglio farti fare la fine di quel ragazzino. Ti lascio qualche settimana”.

– “Qualche settimana? E poi cosa vuoi concedergli? Vuoi succhiargli anche il cazzo?”, sbraitò Robert.

– “Stai zitto, Roby. So quello che faccio. Per ora volevo dargli una lezione teorica. In futuro passerò alla lezione pratica”.

Per fortuna la lezione era finita e i tre abbandonarono il locale.


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