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Di seguito riporto una serie di riflessioni dello stesso Castaneda sul concetto di agguato.
Oltre alle citazioni di Castaneda (e discepoli) ho integrato il testo con dei video sul tema dell’agguato.
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«Il primo principio in assoluto dell’arte dell’agguato è che il guerriero ponga l’agguato a se stesso, e lo faccia spietatamente, con astuzia, pazienza e dolcezza.»
(Il potere del silenzio)
Da “INCONTRI CON IL NAGUAL” — Libro di Armando Torres
Agguato: è il controllo strategico delle proprie azioni, da parte del guerriero, all’interno della società e nell’interazione con altre persone, per rafforzare l’energia, temprare lo spirito, andare aldilà della propria storia personale e delle proprie credenze. L’agguato parte dall’osservazione, non dal giudizio o dal dialogo interno. Il guerriero diventa quindi un cacciatore che conosce tutto della sua preda per poterla prendere in trappola. Il bottino più ambito non sono di certo le persone o la soddisfazione del proprio ego, quindi benché agisca nella vita quotidiana, la sua caccia è silenziosa e il suo bottino è l’energia. La preda più ambita del cacciatore è… sé stesso!
– Gli stessi risultati prodotti dalle piante possiamo ottenerli quando ci mettiamo spalle al muro. Affrontando situazioni limite, come il pericolo, la paura, la saturazione sensoriale e l’aggressione, qualcosa in noi reagisce e prende il controllo, la mente si pone in allerta e sospende automaticamente il suo parlottare. Porsi deliberatamente in quelle situazioni si chiama agguato.
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Quando gli feci notare che quel metodo non funzionava mi rispose che si trattava di una deliberata strategia di cacciatore. Stava facendo, apparentemente, agguati alle routine della mia mente attraverso ciò che chiamò la “saturazione concettuale”. Gli chiesi che cosa volesse dire con questo e mi spiegò: – La ragione si satura quando gli dai troppo contenuto di lavoro. Don Juan soleva dire che i concetti strani, come quelli che usano gli stregoni, devono essere ripetuti fino alla stanchezza, in modo che guadagnino un luogo definito nella nostra coscienza, oppressa dal peso di così tante questioni triviali.
– Se vuoi conoscere il lato magico del mondo, sii implacabile con. i tuoi ragionamenti, non permettere che si accomodino, portali al loro limite, al punto stesso di rottura. In tali circostanze la tua mente avrà solamente due opzioni: imporsi, obbligandoti ad abbandonare l’apprendistato, oppure tacere, lasciandoli in pace.
– L’agguato induce movimenti minuscoli, ma molto solidi, del punto di unione; non è come nel sognare che ti smuove profondamente ma rimbalzi come un elastico e torni immediatamente a ciò che eri. Quando pratichi l’agguato, continui a vedere tutto allo stesso modo di sempre, quindi cercherai di applicare criteri quotidiani alle cose. Se in una circostanza così sei forzato a un cambiamento dal tuo istruttore, la cosa più sicura è che tu ne esca offeso o ferito nell’amor proprio e ti allontani dall’insegnamento.
Gli chiesi quale fosse, quindi, il modo nel quale gli stregoni trasmettevano quell’arte.
Mi rispose che, tradizionalmente, viene insegnata in uno stato di coscienza accresciuta e viene lasciata per l’ultima fase dell’insegnamento.
– Non è qualcosa che venga detto in faccia, è necessario catturarlo fra le righe. Questa parte dell’apprendimento appartiene agli insegnamenti per il lato sinistro. Costa molti anni ricordare in cosa consiste, e altrettanti poterla portare alla pratica.
– Al livello in cui sei tu ora, l’unica cosa che ti permette di praticare l’agguato è avvicinarvisi con metodi di sogno. Se in qualsiasi momento senti che sto toccando temi troppo personali o vieni assalito dai sospetti, guardati le mani o usa qualsiasi altro ricordatorio che tu abbia scelto. L’attenzione di sogno ti aiuterà a smuovere la tua fissazione.
– L’agguato è l’attività centrale di un cacciatore di energia. Anche se può essere applicato con risultati stupefacenti al nostro interagire con la gente, è disegnato principalmente per affinare il praticante. Manipolare e dominare altri è un compito arduo, ma è incomparabilmente più difficile dominare noi stessi. Per questo l’agguato è la tecnica che contraddistingue il nagual.
– L’agguato può essere definito come l’abilità di fissare il punto di unione in posizioni nuove. – Il guerriero che fa agguati è un cacciatore. Ma a differenza del cacciatore ordinario che ha lo sguardo fisso sui suoi interessi materiali, il guerriero persegue una preda più grande: la sua importanza personale. E si prepara ad affrontare la sfida di aver a che fare con i suoi simili, cosa che il sognare non può risolvere da solo. Gli stregoni che non imparano a fare agguati diventano scorbutici.
– Perché?
– Perché non hanno la pazienza per tollerare la stupidità della gente.
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– I guerrieri sanno che ogni forma di abitudine è una dipendenza..
Può legarti al consumo di droghe o ad andare in chiesa ogni domenica; la differenza è di forma, non di essenza. Allo stesso modo, quando ci abituiamo a pensare che il mondo è ragionevole o che le cose nelle quali crediamo siano l’unica verità, siamo vittime di un’abitudine che annebbia i nostri sensi, facendo si che vediamo solamente ciò che ci è familiare. – Le routine sono modelli di comportamento che seguiamo in modo meccanico, sebbene non abbiano più senso. Per fare agguati è necessario uscire dall’imperativo della sopravvivenza.
– Poiché è padrone delle sue decisioni, un guerriero che fa agguati è una persona che ha bandito dalla sua vita ogni traccia di dipendenza. Deve solo recuperare la sua integrità energetica per essere libero. E poiché ha la libertà di scelta, può coinvolgersi in forme calcolate di comportamento, sia avendo a che fare con la gente che con altre entità coscienti.
– Il risultato di questa manovra non è più una partecipazione abituale, ma un agguato, perché consiste nello studiare i comportamenti degli altri.
Gli chiesi che senso avesse tutto ciò. Mi rispose: – Dal tuo punto di vista, nessuno. La libertà non sente ragioni. Comunque, tutto il tuo essere rabbrividisce quando rompi le tue routine, perché smascheri il mito dell’immortalità.
Indicando la gente che stava ritornando dal lavoro, mi disse: – Cosa credi che siano andati a fare? Quella gente è andata a vivere il suo ultimo giorno! La cosa triste è che, probabilmente, molto pochi di loro lo sanno. Ogni giorno è unico ed il mondo non è solo come ci hanno detto. Cancellare la forza dell’abitudine è una decisione che si prende una volta per tutte. A partire da quell’atto, il guerriero diviene un praticante dell’agguato.
– E non può essere che il guerriero finisca per fare del suo proposito qualcosa di quotidiano?
– No, Questo è qualcosa che devi comprendere molto bene, perché altrimenti la tua ricerca dell’impeccabilità perderà freschezza e finirai per tradirla. Spezzare le routine non è lo scopo del cammino, è solo un mezzo. La meta è essere consapevole. Tenendo questo in mente, un’altra definizione dell’agguato è “un’attenzione inflessibile su un risultato totale”.
– Quel tipo di attenzione su un animale dà come risultato una preda di caccia. Se l’applichiamo su un’altra persona produce un cliente, un discepolo o un innamoramento. E su un essere inorganico ci offre quello che gli stregoni chiamano un “alleato”. Ma solo se applichiamo l’agguato su noi stessi, può essere considerato un’arte tolteca, perché a quel punto produce qualcosa di prezioso: coscienza.
Se vuoi fare agguati, osserva te stesso. Tutti noi siamo eccellenti cacciatori, l’agguato è un nostro dono naturale. Quando sentiamo i morsi della fame, ci ingegniamo; i bambini piangono e ottengono ciò che vogliono; le donne intrappolano gli uomini e gli uomini si vendicano tra loro, raggirandosi nei loro affari. L’agguato è riuscire ad uscirne come vuoi tu.
– Se ti rendi cosciente del mondo in cui vivi, comprenderai che mantenersi attenti ad esso è un tipo di agguato. Siccome l’abbiamo imparato da prima che si sviluppasse la nostra capacità di discriminazione, lo diamo come fatto naturale e quasi mai lo mettiamo in discussione. Ma tutte le nostre azioni, anche le più altruistiche, in fondo sono imbevute dello spirito del cacciatore.
– L’uomo ordinario non sa che sta in agguato perché il suo carattere è stato soggiogato dalla socializzazione. E’ convinto che la sua esistenza sia importante, quindi le azioni che fa sono al servizio dell’importanza personale, non dell’aumento della sua coscienza.
Più che accumulare informazioni, ciò che cerca è ricompattare l’energia. Un guerriero è qualcuno che ha imparato ad andare a caccia di sé stesso e non sostiene più un’immagine pesante da mostrare agli altri. Nessuno può accorgersi di lui se lui stesso non vuole, perché non ha attaccamenti. È più in alto del cacciatore, perché ha imparato a ridere di sé stesso.
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Continuò dicendo che, dato che il problema dell’importanza è una questione personale, ogni guerriero deve adattare l’insegnamento alle sue condizioni. Quindi le tecniche dell’agguato sono estremamente flessibili. Ma l’addestramento è lo stesso per tutti e si riduce a liberarsi dalle routine superflue e ad acquisire la sufficiente disciplina per riconoscere i segnali dell’intento. Entrambi questi successi costituiscono vere imprese di carattere.
– Il miglior modo di acquisire quel grado di disciplina e aver a che fare attivamente con un pinche tiranno.
Un pinche tiranno è qualcuno che ci rende la vita impossibile.
… a causa dell’alto livello di importanza che ci concediamo, chiunque sia in posizione di infastidirci funziona per noi come tale. Lungi dall’evitarlo, dobbiamo affrontare, non il tiranno in se, ma la nostra propria stupidità.
– Il pinche tiranno è necessario perché la maggior parte di noi siamo troppo pigri per cambiare da noi. Egli fa muovere la fissità del nostro “io” facendo si che affiorino le nostre debolezze. Ci fa vedere la verità, cioè che non siamo importanti, ed è disposto a dimostrarlo con le sue azioni. Imparare come trattarlo è il solo modo veramente efficace per affinare l’agguato.
– I pinche tiranni abbondano, ciò che non abbonda è il fegato per andare a cercarli, agganciarli con un agguato e provocare la loro ira, ponendoci a loro tiro e al tempo stesso macchinando strategie demolitrici. Passiamo la vita fuggendo dalle situazioni che ci producono dolore, irritazione, paura o sconcerto. In questo modo ci perdiamo uno degli strumenti più preziosi che lo spirito ha messo sulla nostra strada.
– Quale è la strategia per affrontare quel tipo di nemici?
– Soprattutto non vederli come nemici; sono involontari alleati della tua causa. Non perdere di vista che la battaglia non si fa per l’ego, ma per l’energia. L’importante è vincere, non che l’altro perda. Un pinche tiranno non lo sa, questa è la sua debolezza.
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DA “IL POTERE DEL SILENZIO”
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L’arte dell’ agguato è l’enigma del cuore, il dubbio che assale gli stregoni quando scoprono due cose: la prima, che il mondo ci appare inalterabilmente obiettivo e reale grazie alle peculiarità della consapevolezza e della percezione; la seconda, che se vengono in gioco diverse peculiarità di percezione, cambiano nel mondo proprio quelle cose che sembrano obiettive e reali in modo tanto inalterabile.
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“L’insegnamento di don Juan sull’arte dell’agguato e sulla padronanza dell’intento dipendevano dai suoi insegnamenti della padronanza della consapevolezza che era la base delle sue lezioni e consisteva delle seguenti premesse fondamentali: 1. L’universo è un infinito agglomerato di campi di energia, che somigliano a fili di luminosità.
Questi campi di energia, chiamati emanazioni dell’Aquila, s’irradiano da una fonte di proporzioni inimmaginabili, chiamata metaforicamente l’Aquila.
Gli esseri umani sono composti anche loro di un incalcolabile numero degli stessi filiformi campi di energia. Queste emanazioni dell’Aquila formano un agglomerato che si manifesta come un globo di luce con braccia laterali, grande quanto una persona, simile a un gigantesco uovo luminoso.
Solo una parte piccolissima dei campi di energia all’interno di questo globo luminoso sono illuminati da un punto di intenso splendore situato sulla superficie dell’uovo.
La percezione si realizza quando i campi di energia del piccolo gruppo situato intorno al punto d’intenso splendore estendono la propria luce per illuminare identici campi di energia all’esterno dell’uovo. Poiché gli unici campi di energia percettibili sono quelli illuminati dal punto di intenso splendore, quel punto viene chiamato “il punto dove si mette insieme la percezione” o, semplicemente, “il punto di unione”
Il punto di unione si può spostare dalla sua posizione abituale sulla superficie del globo luminoso in un’altra, all’interno o all’esterno. Poiché la luminosità del punto di unione può far risplendere qualsiasi campo di energia con cui venga a contatto, ogni volta che si sposta in una nuova posizione illumina immediatamente nuovi campi di energia, rendendoli percettibili. Questa percezione si chiama vedere.
Quando il punto di unione si sposta, rende possibile la percezione di un mondo del tutto diverso, altrettanto obiettivo e reale di quello che percepiamo di solito. Gli stregoni vanno in quell’altro mondo per attingervi energia, potere, soluzioni a problemi generali e particolari, o per trovarsi di fronte all’inimmaginabile.
L’ intento è la forza diffusa che ci mette in grado di percepire. Noi non acquistiamo consapevolezza perché percepiamo, bensì riusciamo a percepire in conseguenza dell’intrusione e del peso dell’ intento.
Gli stregoni tendono a raggiungere lo stato di consapevolezza totale per sperimentare tutte le possibilità di percezione che ha l’uomo. Questo stato di consapevolezza implica perfino una morte alternativa.
Un livello di conoscenza pratica faceva parte dell’insegnamento per la padronanza della consapevolezza. A quel livello pratico don Juan m’insegnò i procedimenti necessari a spostare il punto di unione. I due grandi sistemi escogitati dai veggenti stregoni dei tempi antichi per ottenere lo scopo erano: il sognare, cioè il controllo e l’utilizzazione dei sogni, e l’ agguato, cioè il controllo del comportamento.”
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“Belisario insisteva a ripetergli che gli stava insegnando l’arte dell’ agguato. Disse a don Juan che l’ agguato era un’arte applicabile a tutto, e che c’erano quattro gradi di apprendimento: la spietatezza, l’astuzia, la pazienza e la gentilezza.
Ancora una volta mi sentii costretto a interrompere il suo racconto.
«Ma l’ agguato non s’insegna in stato di consapevolezza intensa?» domandai.
«Certo» rispose sogghignando. «Ma devi capire che per taluni uomini vestirsi da donna serve a entrare nella consapevolezza intensa. Infatti è un mezzo più efficace che non spostare il punto di unione, ma molto difficile da organizzare.»
Don Juan disse che il suo benefattore lo faceva esercitare quotidianamente nei quattro gradi di apprendimento dell’agguato e insisteva perché don Juan comprendesse che la spietatezza non dovesse essere ferocia, l’astuzia non dovesse essere crudeltà, la pazienza non dovesse essere negligenza e la gentilezza non dovesse essere stupidità.
Gli insegnò che quei quattro stadi dovevano essere praticati e perfezionati finché non fossero tanto armoniosi da passare inosservati. Egli credeva che le donne fossero naturali maestre dell’agguato.”
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“Sii spietato ma affascinante Sii astuto ma simpatico. Sii paziente ma solerte. Sii gentile ma letale. ”
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I quattro modi dell’ agguato
Don Juan mi disse di starmene seduto in quell’antico posto d’osservazione e di usare l’attrazione terrestre per far muovere il mio punto d’unione e ricordare altri stati di consapevolezza intensa nei quali lui mi aveva insegnato l’arte dell’ agguato.
«In questi ultimi giorni, ti ho menzionato parecchie volte i quattro modi dell’ agguato» proseguì. «Ho menzionato la spietatezza, l’astuzia, la pazienza e la gentilezza, con la speranza che tu potessi ricordare quanto ti insegnavo in proposito.
Sarebbe splendido se tu usassi questi quattro modi come scorta che ti inducesse a un ricordo totale.»
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Con toni succinti, definì l’agguato come l’arte di usare il comportamento in nuovi modi per scopi specifici. Disse che il normale comportamento umano nel mondo della vita di ogni giorno era pura routine. Ogni comportamento che si distaccava dalla routine provocava un effetto insolito sul nostro essere totale. Quell’effetto insolito era quello che cercavano gli stregoni, poiché era cumulativo.
Mi spiegò che gli stregoni veggenti dei tempi antichi, con la loro veggenza, avevano notato per primi che un comportamento insolito produceva un tremito nel punto di unione.
Presto scoprirono che, se questo comportamento fuori dalla norma si teneva sistematicamente e si pilotava con saggezza, faceva alla fine spostare il punto d’unione.
«La vera sfida per quei veggenti» continuò don Juan «fu di trovare un sistema di comportamento che non fosse meschino o capriccioso, ma combinasse la moralità e il senso estetico che distinguono gli sciamani veggenti ai comuni stregoni.»
«Chiunque riesca a spostare il proprio punto d’unione in una posizione nuova è uno sciamano» proseguì don Juan. «Da quella nuova posizione, egli può compiere ogni sorta di azione, buona o cattiva, nei confronti del genere umano.
Accennò che per gli stregoni l’agguato era la base su cui si fondava ogni altra loro azione.
«Alcuni trovano da ridire sul termine agguato» proseguì «ma fu scelto quel nome perché sottintende un che di furtivo.
«Si chiama anche l’arte del furto, ma quel termine è altrettanto infelice. Noi, con il nostro temperamento non-militante, la chiamiamo l’arte della follia controllata. Tu puoi chiamarla come meglio ti aggrada. Noi, tuttavia, continueremo a chiamarla l’arte dell’agguato perché è più semplice, come soleva dire il mio benefattore, parlare di esperto dell’agguato che non, astrusamente, di fattore di controllata follia.»
«Non c’è alcun valore di sopravvivenza altrimenti l’intera razza umana vi si trasferirebbe. Da quel lato siamo sicuri, perché è tanto difficile entrarvi. Tuttavia, c’è sempre la remota possibilità che un uomo comune possa riuscirci. Se ce la fa, di solito riesce a confondersi, qualche volta irreparabilmente.»
«Gli stregoni affermano che la consapevolezza intensa è il portale dell’intento»
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«Gli sciamani tendono continui agguati a se stessi»
Gli confessai di provare la sgradevole sensazione di essere in trappola. Sentivo che c’era qualcosa dentro di me, qualcosa che mi faceva sbattere le porte e prendere a calci i tavoli, qualcosa che mi frustrava, rendendomi irascibile.
«La sensazione di essere in trappola la prova ogni comune mortale» disse. «E un ricordo del nostro rapporto con l’intento. Per gli sciamani questa sensazione è anche più acuta, proprio perché mirano a sensibilizzare il loro anello di collegamento fino a farlo funzionare a volontà.
«Quando l’anello di collegamento è sottoposto a un’eccessiva pressione, gli stregoni l’attenuano tendendo agguati a se stessi.»
«Non riesco ancora a capire quel che tu intenda per agguato» osservai. «Ma credo di sapere, a un certo livello, cosa vuol dire.»
«Allora cercherò di chiarire quello che sei. L’agguato è un procedimento estremamente semplice. E un comportamento speciale che segue alcuni principi.
L’agguato è un comportamento riservato, furtivo, ingannevole, inteso a dare uno scossone. Quando si tende l’agguato a se stessi ci si scuote usando il proprio comportamento con astuzia e spietatezza.»
Mi spiegò che quando la consapevolezza di uno sciamano era soffocata dal peso della propria immissione percettiva, come stava accadendo a me, il migliore, o forse perfino l’unico, rimedio stava nell’usare l’idea della morte per provocare lo scossone dell’agguato.
«Pertanto, l’idea della morte ha un’eccezionale importanza nella vita di uno stregone» continuò don Juan. «Ti ho fatto vedere innumerevoli cose sulla morte per convincerti che è la conoscenza dell’imminente e inevitabile fine a darci la sobrietà.
L’errore più grave per noi uomini comuni è adagiarci in un senso d’immortalità. Come se credessimo che, non pensando alla morte, potremmo riuscire a liberarcene.»
«Però, don Juan, devi convenire che il non pensare alla morte ci libera almeno dall’angoscia della fine.»
«Sì, serve a quello scopo» concesse. «Ma è uno scopo meschino per l’uomo comune, e una caricatura per gli stregoni. Senza idee chiare sulla morte non c’è ordine, sobrietà, bellezza. Gli sciamani cercano di acquistare questa facoltà cruciale perché li aiuti a realizzare al livello più profondo possibile di non avere alcuna garanzia che la vita possa continuare oltre quel momento. Una tale constatazione dà agli sciamani il coraggio di essere pazienti pur nell’attività, il coraggio di essere acquiescenti senza cadere nella stupidità.»
Don Juan mi guardò fisso. Sorrise e scosse il capo.
«Sì» proseguì. «L’idea della morte è la sola cosa che possa infondere coraggio agli stregoni. Strano, vero? Dà loro il coraggio di essere astuti senza farsene un vanto e soprattutto dà loro il coraggio di essere spietati senza presunzione.»
Sorrise ancora e mi diede di gomito. Gli dissi che io ero assolutamente pietrificato all’idea di morire, che ci pensavo in continuazione ma certamente non m’infondeva coraggio e neppure mi spronava all’azione. Mi rendeva solo cinico e mi faceva sprofondare in crisi di cupa malinconia.
«Il tuo problema è molto semplice. Sei facile preda delle ossessioni. Ti ho appena raccontato che gli sciamani tendono agguati a se stessi per spezzare il potere delle proprie ossessioni. Ci sono molti modi di tendere agguati a se stesso. Se non vuoi usare l’idea della tua morte, usa le poesie che mi hai letto.»
«Come hai detto, scusa?»
«Ti ho detto che ci sono diverse ragioni per cui mi piacciono le poesie. Io le uso per tendere agguati a me stesso. Mi servono a darmi uno scossone. Io ascolto, e mentre tu leggi, blocco il mio dialogo interno e lascio che il mio silenzio dal profondo acquisti slancio. Poi la combinazione poesia e silenzio provocano lo scossone.»
Mi spiegò che, inconsapevolmente, i poeti anelano al mondo magico. Poiché non sono maghi alla ricerca del sapere, quel desiderio è tutto ciò che hanno.
…
Non m’importa l’argomento della poesia. M’importa solo il sentimento che il desiderio del poeta provoca in me. Faccio mio il suo desiderio e insieme faccio mia la bellezza. Mi stupisco che lui, da vero guerriero, ne distribuisca a piene mani agli osservatori ricettivi, tenendo per sé solo il desiderio. Questo scossone, questo colpo di bellezza, è l’agguato.»
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«In poche ore uno sciamano può vivere l’equivalente di una vita normale» disse don Juan «perché il suo grado d’intensità è più alto della norma. Il suo punto d’unione, spostandosi in una posizione non familiare, prende più energia del solito. Quel flusso aggiunto di energia si chiama intensità.»
Capii quel che stava dicendo con estrema chiarezza, e la mia razionalità barcollò all’impatto con la tremenda implicazione. Don Juan mi guardò fisso e poi mi consigliò di diffidare da una reazione che
angustiava tipicamente gli stregoni: frustrante desiderio di spiegare l’esperienza magica con parole convincenti e ben ragionate.
«L’esperienza dello stregone è cosi fuori dalla norma» prosegui don Juan «che gli stregoni la considerano un esercizio intellettuale e l’usano per tendere agguati a se stessi. La loro carta vincente come maestri dell’agguato, però, è che restano ben consapevoli che siamo dei percettori e che la percezione ha più possibilità di quante possa concepirne la mente.»
Come unico commento, espressi la mia apprensione per le possibilità fuori dalla norma della umana consapevolezza.
«Per proteggersi da quell’immensità gli stregoni imparano a mantenere una perfetta fusione di spietatezza, astuzia, pazienza e dolcezza. Queste quattro basi sono mescolate insieme in modo inestricabile. Gli stregoni le coltivano con l’intento. Esse sono, naturalmente, posizioni del punto d’unione.»
Prosegui dicendo che ogni azione degli stregoni era governata per definizione da questi quattro principi. Cosi, a rigore, ogni azione di ogni stregone è voluta nel pensiero e nella realizzazione e ha la specifica unione delle quattro basi dell’agguato.
«Gli stregoni usano i quattro modi dell’agguato come guide» continuò. «Sono quattro diverse forme mentali quattro diversi tipi di intensità che gli stregoni possono usare per indurre i loro punti di unione a muoversi verso posizioni particolari.»
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Disse che gli stregoni, nello sforzo di proteggersi dall’effetto travolgente della conoscenza silenziosa, avevano sviluppato l’arte dell’agguato. Essa fa muovere il punto d’unione poco per volta ma in modo costante, dando cosi agli stregoni tempo e quindi possibilità di rafforzarsi.
«Nell’arte dell’agguato» proseguì don Juan «c’è una tecnica molto usata dagli stregoni: la follia controllata. Essi affermano che la follia controllata è l’unico modo che hanno per trattare con se stessi – nel loro stato di accentuata consapevolezza e percezione – e con qualunque persona o cosa nel mondo della quotidianità.»
Don Juan aveva spiegato la follia controllata come l’arte del raggiro controllato o l’arte di fingere di essere completamente immersi in qualcosa a portata di mano – e fingere tanto bene che nessuno potesse vedere la differenza tra vero e falso. La follia controllata non è un vero e proprio inganno, mi aveva detto, ma un mezzo sofisticato e artistico di essere separati da tutto pur restando parte integrale di tutto.
«La follia controllata è un’arte» continuò don Juan. «Un’arte molto noiosa, difficile da apprendere. Molti stregoni non riescono a sopportarla, non perché ci sia in quell’arte qualcosa di male, ma perché richiede molta energia nel praticarla.»
Don Juan ammise di praticarla coscienziosamente, benché non fosse proprio entusiasta di farlo, forse perché il suo benefattore ne era stato un grande esperto. O forse perché la sua personalità – che secondo lui era tortuosa e meschina – non aveva affatto l’agilità necessaria a praticare la follia controllata. Lo guardai con sorpresa. Smise di parlare e mi fissò con quei suoi occhi
maliziosi.
«Quando ci accostiamo alla stregoneria, la nostra personalità è già formata» disse, e si strinse nelle spalle per indicare rassegnazione «e tutto quello che possiamo fare è praticare la follia controllata e ridere di noi stessi.»
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«La spietatezza del nagual ha molti aspetti» disse. «E’ come un attrezzo che si adatta a molti usi. La spietatezza è uno stato dell’essere. E’ un livello d’intento che il nagual raggiunge.
«Il nagual lo usa per provocare il movimento del suo punto d’unione o di quelli dei suoi discepoli. Oppure lo usa per l’agguato. Iniziai quella giornata come esperto dell’agguato, fingendo di essere vecchio, e la terminai come vero, fragile vecchietto. La mia spietatezza, controllata dai miei occhi, aveva fatto spostare il mio punto d’unione.
«Benché fossi stato molte volte in quel ristorante sotto le sembianze di un vecchio malaticcio, avevo usato l’arte dell’agguato, recitando la parte del vecchio.
Mai prima di allora il mio punto d’unione si era spostato fino alla precisa posizione della senilità.»
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«Parleremo ora del terzo nocciolo astratto» mi disse. «E’ chiamato lo stratagemma dello spirito, o l’astuzia dell’astratto, o l’agguato a se stesso, o la ripulitura dell’anello.»
Mi sorprese la varietà dei nomi, ma non parlai. Aspettai che riprendesse la spiegazione.
«Anche stavolta, come per il primo e il secondo nocciolo,» continuò «potrebbe essere una storia a sé. La storia narra che, dopo aver bussato senza alcun successo alla porta dell’uomo di cui abbiamo parlato, lo spirito usò il solo mezzo a sua disposizione, l’astuzia. Dopotutto, lo spirito aveva risolto in precedenza altre situazioni di stallo con uno stratagemma. E l’apprendistato magico si rivelò per quel che in realtà é: una via di artifizi e sotterfugi.
«La storia dice che lo spirito circuì quell’uomo facendolo passare in continuazione da un livello di consapevolezza all’altro per fargli vedere come risparmiare l’energia per rafforzare il suo anello di collegamento.»
Gli sciamani dicono che lo spirito tende l’agguato e poi piomba su di noi, sue prede. Dicono anche che la discesa dello spirito non è mai palese. Accade davvero, eppure sembra che non sia accaduta mai.
«C’è una soglia che, una volta oltrepassata, non permette di tornare più indietro» disse. «Di solito, dall’istante in cui lo spirito bussa, passano anni prima che un apprendista raggiunga la soglia. Tuttavia qualche volta si tocca la soglia immediatamente. Ne è esempio il caso del mio benefattore.»
Don Juan raccontò che ogni sciamano dovrebbe avere un preciso ricordo di quando ha attraversato quella soglia, in modo da poter rammentare a se stesso il nuovo stato del proprio potenziale percettivo. Mi spiegò che non occorreva essere apprendisti stregoni per arrivare a quella soglia, e che l’unica differenza tra un uomo comune e uno sciamano, in questo caso, stava in quello che l’uno o l’altro enfatizzava.
L’uomo di magia pone l’enfasi sul varcare la soglia e usa questo ricordo come punto di riferimento. L’uomo comune non oltrepassa la soglia e fa del suo meglio per dimenticare tutto sull’argomento.
«Gli stregoni asseriscono che il quarto nocciolo astratto accade quando lo spirito spezza le nostre catene del riflesso di sé» disse. «E meraviglioso spezzare le nostre catene, ma anche molto indesiderabile, perché nessuno vuole essere libero.»
«Che sensazione assurda, accorgersi che tutto ciò che pensiamo, tutto ciò che diciamo dipende dalla posizione del punto d’unione» commentò.
Era esattamente quello che stavo pensando io, ed era per quello che ridevo.
«Io so che in questo momento il tuo punto d’unione s’è spostato» proseguì «e così hai capito il segreto delle nostre catene. Ci tengono prigionieri, ma costringendoci a star fermi nei nostri confortevoli posti di riflesso di sé ci difendono dai violenti attacchi dell’ignoto.»
«Una volta spezzate le nostre catene» continuò don Juan «noi non siamo più legati ai problemi del mondo di ogni giorno. Continuiamo a stare nel mondo della quotidianità ma non ne facciamo più parte. Per farne parte dovremmo dividere le preoccupazioni della gente e senza catene non ci riusciamo.»
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La prima cosa che un nagual fa al suo futuro apprendista è raggirarlo. Dare, cioè, uno scossone al suo anello di collegamento con lo spirito
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«Per quale motivo il nagual Elìas educò i Tulios a quel modo?» domandai.
«La libertà» disse. «Voleva che fossero liberi dalla convenzione percettiva. E insegnò loro a essere artisti. L’agguato è un’arte. Per uno stregone, poiché non è un mecenate né un mercante d’arte, l’unica cosa importante di un’opera d’arte è la sua realizzazione.»
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Il Fuoco dal Profondo:
Una delle grandi manovre degli esperti dell’agguato è porre fronte a fronte in ognuno di noi il mistero e l’insensatezza.
Mi spiegò che le pratiche dell’agguato non sono cose che si possono godere apertamente, anzi a dire il vero sono pratiche censurabili, perfino offensive. I nuovi veggenti si resero conto molto presto di come non fosse raccomandabile discutere o praticare i princìpi dell’agguato nella consapevolezza normale.
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Il proposito dell’agguato per un Nagual è doppio: primo, spostare il punto di unione con la maggior costanza e il minor pericolo possibile, e nulla può farlo meglio dell’agguato; secondo, imprimere i suoi princìpi a un livello così profondo che l’inventario umano viene tralasciato, come pure la reazione istintiva di rifiutare e disprezzare qualcosa che può essere offensivo per la ragione
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CASTANEDA E LE STREGHE DEL NAGUAL:
Si, e questa era una delle maggiori trappole in cui cadevano i vecchi stregoni, che enfatizzavano le tecniche del sognare per spostare il punto d’unione, ma non possedevano le tecniche dell’agguato per equilibrarlo.
E’ una questione di bilanciamento, perché se non si è sobri e controllati, a che pro spostare il punto d’unione?
Lo muovi e finisci col perderti in quelle dimensioni, senza essere più capace di ritornare a questo livello.
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SECONDO ANELLO DEL POTERE:
L’arte dell’agguato rappresenta il culmine degli insegnamenti di don Juan e don Genaro; quest’arte è, di gran lunga, il momento più complesso del loro essere al mondo in qualità di stregoni.
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«Un cacciatore va a caccia, mentre uno che tende agguati può catturare di tutto, anche se stesso.»
«In che modo?»
«Un impeccabile cacciatore in agguato può fare di qualsiasi cosa la sua preda. Possiamo persino catturare le nostre debolezze.»
Smisi di scrivere e cercai di ricordare se don Juan mi avesse mai prospettato quella possibilità: catturare i miei difetti. No, non si era mai espresso in questi termini (ch’io ricordassi).
«Come si catturano i propri difetti, Gorda?»
«Alla stessa maniera che le prede. Osservi le tue abitudini, finché conosci ogni mossa dei tuoi difetti, poi vieni fuori e li acchiappi, come conigli dentro una gabbia.»
Don Juan diceva in sostanza che ogni abitudine è un ‘fare’; e che un ‘fare’ ha bisogno di tutte le sue parti, per essere tale. Se ne manca qualcuna, il ‘fare’ è smembrato. Per ‘fare’ egli intendeva ‘una serie logica e significativa di azioni’. Insomma: una abitudine ha bisogno di tutte le azioni che la compongono per essere una ‘attività viva’.
La Gorda mi raccontò come aveva teso agguati al suo vizio di mangiar troppo. El Nagual le aveva suggerito – mi disse – di prender per prima di petto la parte più grossa di quella abitudine, ch’era connessa al suo lavoro di lavandaia: lei mangiava tutto ciò che le davano i clienti, quando andava di casa in casa a consegnare la biancheria. Lei voleva che el Nagual le spiegasse ben bene in che modo; ma el Nagual le rise in faccia, dicendo che, non appena le avesse consigliato qualcosa, lei si sarebbe ribellata. Così sono fatti – le disse – tutti gli esseri umani: vogliono che gli si dica cosa fare, ma poi si ribellano e si rifiutano di farlo; e finiscono per odiare chi gli ha dato consigli.
Per anni lei non riuscì ad escogitare nulla per catturare il suo vizio. Un giorno però si stufò di essere grassa, e stette 23 giorni senza mangiare. Fu questa l’azione iniziale che ruppe la sua fissazione. Ella poi ebbe l’idea di ficcarsi in bocca una spugna, per far credere ai suoi clienti che aveva un ascesso al dente e non poteva mangiare. Il sotterfugio funzionò, e non solo coi clienti, che smisero di darle cibi; ma anche con lei stessa perché, masticando quel pezzo di spugna, le passava la voglia di mangiare. La Gorda rise, raccontandomi come andava in giro con quella spugna in bocca; e ciò durò per anni, finché il vizio di mangiare in eccesso non fu vinto.
«Bastò questo per perdere il vizio?» le chiesi.
«No. Dovetti anche imparare a mangiare da guerriera.»
«Un guerriero inoltre cammina, ogni giorno, per chilometri e chilometri. Il vizio del mangiare a me impediva di camminare. Lo vinsi mangiando quattro bocconi ogni ora e camminando.
Talvolta camminavo tutto il giorno e tutta la notte. Così persi il grasso alle natiche.»
«Ma tendere agguati alle tue debolezze non basta, per vincerle. Puoi dar la caccia ai vizi fino al giorno del giudizio, e non cambiare nulla. Per questo el Nagual non mi volle dire che cosa dovevo fare. Quello che occorre a un guerriero, per essere un impeccabile cacciatore all’agguato, è avere uno scopo.»
«Ognuno ha abbastanza potere personale per qualcosa. Io dovevo riuscire a spostare il mio potere, dal cibo al mio scopo di guerriera.»
«E qual è questo scopo?» le chiesi mezzo per scherzo.
«Entrare nell’altro mondo,»
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Da Memorie di una Viaggiatrice dello Spirito – Hermelinda:
«Non è agli altri che bisogna “tendere agguati”, con mille forme di comportamenti svariati e stravaganti, bensì a se stessi, al proprio ego!»
«Ricordati che l’agguato è una tecnica diabolica, usata per raggiungere il corpo energetico, ma non per soddisfare l’ego: lo devi praticare esclusivamente contro te stessa, non contro gli altri. Non ha senso contro gli altri. È un segreto assoluto»
Agguato, cioè, vorrebbe dire osservare attentamente ogni parte del proprio ego: il complesso di abitudini, ogni minimo movimento mentale, ogni reazione emotiva, ogni più impercettibile difetto
«Tendere agguati significa essere consapevoli ed osservare le tue azioni in ogni istante della vita, diventando cosciente delle maschere che indossi e consapevole delle energie, avendo il potere di cambiare i tuoi sentimenti, le tue emozioni, i tuoi impulsi, i tuoi pensieri, le tue azioni.
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È formidabile la possibilità di poter gestire in un “agguato a se stessi” un potere di sopportazione sempre maggiore, proprio vincendo l’importanza personale.
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Ed era proprio quando il coinvolgimento emotivo poteva diventare schiacciante, che avevo modo di “praticare l’agguato”: mi osservavo con “spietatezza”, e consolidavo sempre di più un punto di vista osservatore proprio sulle cose a cui era più attaccata.
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