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THE CHINA STUDY – CAP. 3 – DISINNESCARE IL CANCRO

 Gli americani temono il cancro più di qualsiasi altra malattia. La prospettiva diessere consumati lentamente e dolorosamente da un tumore per mesi o perfino anni prima di spegnersi è terrificante. E’ per questo che il cancro è forse la più temutafra le malattie gravi.Così, quando i media diffondono la notizia di un carcinogeno chimico scopertodi recente, il pubblico ne prende nota e reagisce prontamente. Alcuni carcinogeniscatenano un panico totale, come è successo qualche anno fa con l’Alar, una sostanza chimica che veniva regolarmente nebulizzata sulle mele per regolarne la crescita.Poco dopo la pubblicazione di un rapporto del Consiglio per la difesa delle risorsenaturali (NRDC) dal titolo “Intolerable Risk: Pesticides in Our Children’s Food” 1 , ilprogramma televisivo 60 Minutes  ha mandato in onda un servizio speciale sull’Alar.Nel febbraio 1989, un rappresentante dell’NRDC ha dichiarato durante la trasmissione 60 Minutes  della CBS che quel prodotto chimico usato nell’industria delle mele era «il più potente carcinogeno nella filiera alimentare» 2,3 .La reazione del pubblico non si è fatta attendere. Una donna ha chiamato la polizia territoriale chiedendo di inseguire uno scuolabus per confiscare la mela di suofiglio 4 .1 plessi scolastici dell’intero paese, fra cui quelli di New York, Los Angeles, Atlanta e Chicago, hanno smesso di servire mele e prodotti da esse derivati. Secondo John Rice, ex presidente della U.S. Apple Association, l’industria delle mele ha subito una batosta che le ha fatto perdere più di 250 milioni di dollari 5 . Alla fine, inrisposta alle proteste della pubblica opinione, nel giugno 1989 la produzione e l’usodell’Alar sono stati bloccati 3 .Quello dell’Alar non è un episodio isolato. Nei decenni scorsi la stampa popolare ha identificato come agenti cancerogeni numerose sostanze chimiche.Probabilmente avete sentito parlare di qualcuno dei seguenti prodotti:• aminotriazolo (un erbicida usato sui raccolti di mirtillo rosso che ha causato “l’allarme mirtillo” del 1959);• DDT (ampiamente noto dopo l’uscita del libro di Rachel Carson Primavera    silenziosa)-, • nitriti (usati negli hot dog e nella pancetta come conservanti della carne, colorantied esaltatori di sapidità);• il colorante Red Dye Number 2;• dolcificanti artificiali (ciclamati e saccarina inclusi);• diossina (una sostanza inquinante derivante dai processi industriali e presentenell’Agente Arancio, un defoliante usato durante la guerra del Vietnam);• aflatossina (una micotossina riscontrata sulle arachidi e sul mais ammuffiti) Conosco piuttosto bene queste sgradevoli sostanze chimiche: sono stato membro della Commissione tecnica dell’Accademia nazionale delle scienze sulla saccarina e le politiche in materia di sicurezza alimentare (1978-79), che era stataincaricata di valutare la potenziale pericolosità della saccarina nel periodo in cuii consumatori si erano ribellati dopo la proposta di messa al bando di quel dolcificante artificiale da parte della FDA. Sono stato uno dei primi scienziati chehanno isolato la diossina; ho una conoscenza diretta del laboratorio del MIT cheha svolto il lavoro principale sui nitriti, e ho trascorso molti anni a fare ricerche ea pubblicare articoli sull’aflatossina, una delle sostanze chimiche più cancerogenemai scoperte, quantomeno per i ratti.Pur avendo proprietà sensibilmente diverse, tutte queste sostanze chimiche hannouna storia simile rispetto al cancro: in ogni singolo caso, la ricerca ha dimostrato chepossono aumentare le percentuali di tumore nelle cavie da laboratorio. Il caso dei nitriti ne è un esempio eccellente 3.1 – Missile Hot Dog  Se non esitate a definirvi “di mezza età” o anche più anziani, sentendomi dire “nitriti, hot dog e cancro” potreste appoggiarvi allo schienale della sedia, annuire edesclamare: «Sì, mi ricordo qualcosa in proposito». Ai più giovani consiglio di aprirebene le orecchie, perché la storia ha un modo buffo di ripetersi.Periodo: primi anni Settanta del Novecento. Scenario: la guerra del Vietnam siavviava alla conclusione, Richard Nixon era in procinto di essere per sempre associato al Watergate, la crisi energetica si accingeva a produrre code alle stazioni di servizio e “nitrito” stava per diventare una parola famosa. I  Nitrito di sodio:  conservante della carne usato fin dagli anni Venti del Novecento 6 .Uccide i batteri e aggiunge un piacevole colore rosato e un sapore appetitoso aglihot dog, alla pancetta e alla carne in scatola.Nel 1970 la rivista  Nature  rese noto che il nitrito da noi consumato potrebbe reagire nel nostro organismo formando le nitrosammine 7 . I   Nitrosammine:  inquietante famiglia di sostanze chimiche. Il Programma tossicologico nazionale degli Stati Uniti ha dichiarato che «si presume ragionevolmente che»non meno di diciassette nitrosammine «siano carcinogeni umani» 8 . Aspettate un attimo. Perché si presume che queste spaventose nitrosamine siano “carcinogeni umani”? La risposta sintetica è: esperimenti sugli animali hanno dimostrato che con l’aumento dell’esposizione chimica si verifica anche un aumentodell’incidenza del cancro. Ma non è sufficiente, ci occorre una risposta più completa.  Prendiamo in esame una nitrosammina, la N-nitrososarcosina (NSAR). In unostudio di ricerca, venti ratti erano stati suddivisi in due gruppi, ciascuno esposto aun diverso livello di NSAR. Ai ratti esposti alla dose elevata era stata somministratauna quantità doppia rispetto a quelli esposti alla dose bassa. Poco più del 35% deiratti a cui era stato dato il livello più basso di NSAR era morto di cancro alla gola,mentre il 100% dei ratti a cui era stato somministrato il livello più alto era morto dicancro nel corso del secondo anno dell’esperimento 9 ‘ 11 .Quanta NSAR era stata data ai ratti? A entrambi i gruppi ne era stata somministrata una quantità incredibile. Permettetemi di spiegarvi in che cosa consisteva ladose “bassa” fornendovi uno scenario concreto. Immaginiamo che per ogni pasto virechiate a casa di un vostro amico. Costui ne ha fin sopra i capelli di voi e vuole farviammalare di cancro alla gola esponendovi alla NSAR, così vi propina l’equivalentedel “basso” livello somministrato ai ratti. Voi andate a casa sua, e il vostro amico vioffre un panino imbottito con mezzo chilo di mortadella! Lo mangiate, lui ve neoffre un altro, poi un altro e un altro ancora… Vi toccherà mangiare 270.000 paninialla mortadella prima che il vostro amico vi lasci andare 9,12 . Sarà meglio che vi piaccia la mortadella, perché il vostro amico ha intenzione di nutrirvi in questo modoogni giorno per più di trent’anni! Se lo farà, la vostra esposizione alla NSAR (perpeso corporeo) sarà pari a quella dei ratti del gruppo a “basso” dosaggio.Dal momento che le alte percentuali di cancro sono state riscontrate sia nei topiche nei ratti usando vari metodi di esposizione, “si presume ragionevolmente” che laNSAR sia un carcinogeno umano. Sebbene per questa valutazione non siano statiusati studi su soggetti umani, è probabile che una sostanza chimica del genere, cheprovoca sistematicamente il cancro sia nei topi che nei ratti, possa causare il cancroanche negli esseri umani a un certo livello. E’ tuttavia impossibile sapere quale debbaessere il livello di esposizione, soprattutto perché i dosaggi sugli animali sono cosìastronomici. Ciononostante si ritiene che i soli esperimenti sugli animali siano sufficienti per “presumere ragionevolmente” che la NSAR sia un carcinogeno umano 9 .Così nel 1970, quando un articolo pubblicato nella prestigiosa rivista  Nature   giunse alla conclusione che i nitriti contribuiscono alla formazione di nitrosami-ne nell’organismo, affermando quindi implicitamente che concorrono a causare il cancro, la gente cominciò ad allarmarsi. La linea ufficiale era: «La riduzionedell’esposizione umana ai nitriti e a certe ammine secondarie, in particolare neicibi, può dare come risultato una diminuzione nell’incidenza del cancro umano» 7 . Tutt’a un tratto i nitriti divennero potenziali cause di morte. Dato che gli esseri umani sono esposti ai nitriti mediante il consumo di carne lavorata come glihot dog e la pancetta, alcuni prodotti furono presi di mira. Gli hot dog erano unbersaglio facile: oltre a contenere additivi come i nitriti, possono essere costituitida parti macinate quali labbra, musi, milze, lingue, gole e altre “frattaglie” 13 . Così,man mano che la questione nitriti e nitrosamine si surriscaldava, gli hot dog si raffreddavano nei piatti. Ralph Nader li aveva definiti «fra i missili più micidiali d’America» 14 . Alcuni gruppi per la tutela dei consumatori chiesero la messa al bando.  degli additivi a base di nitriti e i funzionari governativi cominciarono un serio riesame dei potenziali problemi di salute dovuti a queste sostanze 3 .La questione ricevette una nuova spinta nel 1978, quando da uno studio condottopresso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) risultò che i nitriti incrementavano il cancro linfatico nei ratti. Lo studio, come riportato in un numero di Science  15 del 1979, aveva scoperto che mediamente i ratti alimentati con nitriti contraevano il cancro linfatico per il 10,2%, mentre quelli a cui non venivano somministrati i nitriti si ammalavano di cancro solo per il 5,4%. La scoperta fu sufficiente perscatenare una protesta pubblica, che ebbe come conseguenza una violenta discussione a livello di governo, industria e comunità scientifica. Quando le acque si furonocalmate, gruppi di esperti diedero direttive, l’industria ridusse l’impiego di nitriti e laquestione smise di essere sotto i riflettori.Ricapitolando: risultati scientifici marginali possono creare notevoli sconvolgimentinellopinione pubblica quando si tratta di sostanze chimiche che causano il cancro. Unaumento dell’incidenza del cancro dal 5% al 10% nei ratti nutriti con grandi quantitàdi nitriti ha dato origine a una polemica esplosiva. Senza dubbio, in seguito alla studiodel MIT furono spesi milioni di dollari per analizzare ed esaminare le scoperte.E dopo aver condotto parecchi esperimenti in cui agli animali erano state som-ministrate dosi eccezionalmente elevate di quella sostanza chimica per quasi tutta ladurata della loro vita, «si presumeva ragionevolmente» che la NSAR, una nitrosam-mina probabilmente costituita da nitriti, fosse «un carcinogeno umano». 3.2 Ancora le proteine  Il punto non è se i nitriti siano innocui: è la semplice possibilità, per quanto improbabile, che possano causare il cancro ad allarmare l’opinione pubblica. Ma cosasuccederebbe se i ricercatori producessero altri risultati scientifici ben più consistenti? Che cosa accadrebbe se ci fosse una sostanza chimica che a livello sperimentalescatenasse il cancro nel 100% delle cavie e la cui assenza relativa limitasse il cancroallo 0% delle cavie? E ancora, che cosa avverrebbe se questa sostanza fosse in gradodi agire in questo modo a livelli normali di assunzione e non ai livelli straordinariusati negli esperimenti con la NSAR? Per la ricerca sul cancro, l’individuazione diuna simile sostanza equivarrebbe alla scoperta del Sacro Graal. Le implicazioni perla salute umana sarebbero di immensa portata. Si potrebbe presumere che questasostanza chimica sia molto più preoccupante dei nitriti e dell’Alar, e perfino più importante dell’aflatossina, uno fra i principali carcinogeni.Ed è esattamente ciò che ho visto nella pubblicazione indiana 16 quando mi trova vo nelle Filippine. Quella sostanza chimica erano le proteine, somministrate ai rattia livelli che rientravano nel normale consumo. Le proteine! Questi risultati eranopiù che allarmanti: nello studio indiano, dopo che con la somministrazione di afla-tossina tutti i ratti erano stati predisposti alla possibilità di contrarre il cancro al fegato, solo gli animali sottoposti a una dieta composta per il 20% da proteine si sonoammalati, mentre quelli nutriti solo con il 5% di proteine sono rimasti indenni.Gli scienziati, io compreso, tendono ad essere un branco di scettici, specialmentequando si trovano di fronte a risultati strabilianti. Di fatto, come ricercatori abbiamola responsabilità di mettere in discussione ed esaminare simili scoperte provocatorie. Avremmo potuto sospettare che quella scoperta riguardasse unicamente i rattiesposti all’aflatossina e non altre specie, esseri umani inclusi. Forse i dati erano statiinfluenzati da altre sostanze nutritive. Forse il mio amico, l’eminente professore delMIT, aveva ragione: era possibile che nello studio indiano le identità degli animalifossero state scambiate.Le domande esigevano una risposta. Al fine di poter studiare ulteriormente laquestione, feci richiesta e ottenni dagli Istituti nazionali di sanità (NIH) le due assegnazioni di fondi per la ricerca a cui ho già accennato in precedenza. Una sov venzione era per uno studio da condurre su soggetti umani, l’altra per una ricercasperimentale su animali. In nessuna delle due richieste mi ero messo a “gridare allupo” suggerendo l’idea che le proteine potessero favorire il cancro: avevo tutto daperdere e niente da guadagnare a comportarmi da eretico. Inoltre non ero convinto che le proteine potessero davvero essere nocive. Nello studio sperimentale suglianimali proposi di indagare «l’effetto di vari fattori  [corsivo dell’autore] sul metabolismo dell’aflatossina». Lo studio su soggetti umani, più focalizzato sugli effettidell’aflatossina sul cancro al fegato nelle Filippine, brevemente riassunto nell’ultimocapitolo, si concluse dopo tre anni. In seguito fu ripreso all’interno di uno studiomolto più sofisticato condotto in Cina (4° capitolo). Uno studio su questi effetti delle proteine sullo sviluppo dei tumori doveva esseresvolto in maniera impeccabile. Se solo fosse stato meno che perfetto non avrebbeconvinto nessuno, in special modo i miei colleghi a cui avrei dovuto sottoporre lamia futura richiesta per il rinnovo della sovvenzione!Oggi credo di poter affermare che ce l’abbiamo fatta. L’assegnazione di fondi daparte dei NIH per questo studio proseguì per i diciannove anni successivi e portòa un finanziamento aggiuntivo da parte di altri enti di ricerca (l’Associazione americana per la lotta contro i tumori, l’istituto americano per la ricerca sul cancro e laFondazione americana per la ricerca sul cancro). Solo, per quanto riguarda questescoperte ottenute con gli esperimenti sugli animali, il progetto produsse più di cento relazioni scientifiche pubblicate in alcune delle migliori riviste, numerose presentazioni pubbliche e svariati inviti a prendere parte a commissioni di esperti 3.3 Stadi Cancro Il cancro procede attraverso tre stadi: iniziazione, promozione e progressione. Perutilizzare un’analogia approssimativa, possiamo dire che il processo tumorale è simile alla semina di un prato: l’iniziazione è la fase in cui si mettono i semi nel terreno,la promozione è quando l’erba comincia a crescere e la progressione corrisponde almomento in cui l’erba sfugge completamente al controllo, invadendo il vialetto diaccesso, le aiuole e il marciapiede.Orbene, qual è il processo che in primo luogo “impianta” con successo i semi d’erbanel terreno, ovvero che dà inizio alle cellule predisposte al cancro? Le sostanze chimiche che favoriscono tale processo sono dette carcinogeni. Il più delle volte sono sotto-prodotti di processi industriali, sebbene piccole quantità possano formarsi in natura,come nel caso dell’aflatossina. Questi carcinogeni trasformano o modificano genetica-mente le cellule normali in cellule predisposte al cancro. Una mutazione implica un’alterazione permanente dei geni della cellula, con conseguenti danni al suo DNA.L’intera fase di iniziazione (Grafico 3.1) può aver luogo in un periodo di tempobrevissimo, addirittura nel giro di minuti. Si tratta del tempo necessario affinché ilcarcinogeno chimico venga consumato, assorbito nel sangue, trasportato alle cellule,trasformato nel suo prodotto attivo, legato al DNA e trasmesso alle cellule figlie.Una volta formatesi le nuove cellule figlie, il processo è completato. Queste cellulefiglie e la loro progenie saranno per sempre danneggiate a livello genetico, dandoorigine al potenziale per lo sviluppo di un cancro. Tranne che in rare eccezioni, ilcompletamento della fase di iniziazione è considerato irreversibile. A questo punto della nostra analogia con il prato, i semi d’erba sono stati piantatinel terreno e sono pronti a germogliare. L’iniziazione è completa. La seconda fasedi crescita è chiamata promozione. Come semi pronti a far spuntare fili d’erba e atrasformarsi in un prato verde, le nostre cellule predisposte al cancro appena formatesi sono pronte a crescere e a moltiplicarsi fino a diventare un cancro visivamente riconoscibile. Questa fase si svolge in un periodo di tempo molto più lungo rispettoall’iniziazione, spesso negli esseri umani dura diversi anni. E’ la fase in cui il clusterdi recente formazione si moltiplica e cresce in masse sempre più grandi e si verificala formazione di un tumore clinicamente visibile.Ma proprio come i semi nel terreno, le cellule cancerose iniziali non crescono e non simoltiplicano in assenza delle condizioni giuste. I semi nel suolo, per esempio, necessitanodi una cospicua quantità d’acqua, luce solare e altre sostanze nutritive prima di trasformarsi in un prato folto. In assenza di uno questi fattori, i semi non crescono. Se unodi questi fattori viene a mancare dopo che la crescita ha avuto inizio, le nuove plantuleresteranno dormienti in attesa che riprenda l’apporto dei fattori mancanti. Questa è unadelle caratteristiche essenziali di questa fase: la promozione è reversibile e dipende dal fatto he alla crescita iniziale del cancro siano state date o meno le giuste condizioni in cui svilup  parsi. E’ qui che determinati fattori alimentari diventano così importanti. Questi fattori,chiamati promotori, favoriscono lo sviluppo del cancro; altri fattori alimentari, chiamatiantipromotori, lo rallentano. Lo sviluppo del cancro prospera quando i promotori sonopiù numerosi degli antipromotori, mentre quando prevalgono questi ultimi la crescita delcancro subisce Un rallentamento o un arresto. Si tratta di un processo alterno. L’enormeimportanza della reversibilità non potrà mai essere sottolineata abbastanza.La terza fase, detta progressione, comincia quando un gruppo di cellule canceroseavanzate procede nel proprio sviluppo fino ad aver compiuto il danno fino in fondo. E’ una situazione analoga a quella del prato che è cresciuto fino a invadere tuttociò che gli sta intorno: il giardino, il vialetto di accesso e il marciapiede. In manierasimile, un cancro in via di sviluppo può allontanarsi dal suo sito iniziale nell’organismo e invadere tessuti vicini o lontani. Quando il tumore assume queste proprietàletali è considerato maligno. Quando abbandona la sua residenza iniziale e cominciaa vagare, è metastatizzante. Lo stadio finale del cancro sfocia nella morte. All’inizio della nostra ricerca, si aveva solo una vaga conoscenza degli stadi di formazione del cancro, ma noi ne sapevamo abbastanza da poter strutturare le indaginiin maniera più intelligente. Le domande non ci mancavano. Saremmo riusciti a confermare le scoperte fatte in India in base alle quali una dieta a basso contenuto proteico era in grado di reprimere la formazione tumorale? E, più importante, perché leproteine influenzano il processo canceroso? Quali sono i meccanismi, ovvero, comefunzionano le proteine? A fronte di un’infinità di domande a cui rispondere, conducevamo i nostri studi sperimentali meticolosamente e con profondità, per ottenererisultati capaci di resistere all’esame più rigoroso. 3.4. Proteine e iniziazione In che modo l’assunzione di proteine influisce sull’iniziazione del cancro? Il nostro primo test consisteva nel verificare se il consumo di proteine influenzasse l’enzima che era il principale responsabile del metabolismo dell’aflatossina, l’ossidasi a funzione mista (MFO). Si tratta di un enzima molto complesso perché metabolizza anche i farmaci e altre sostanze chimiche, buone o cattive per l’organismo.Paradossalmente, questo enzima esercita un’azione sia detossificante che attivantesull’aflatossina; è una straordinaria sostanza di trasformazione. Agli inizi della nostra ricerca avevamo ipotizzato che le proteine che consumiamoalterassero la crescita dei tumori modificando il modo in cui l’aflatossina viene detossificata dagli enzimi presenti nel fegato.In un primo tempo avevamo stabilito se la quantità di proteine che mangiamo potesse modificare questa attività enzimatica. Dopo una serie di esperimenti(Grafico 3.2 18  ), la risposta era chiara: l’attività enzimatica poteva essere facilmentemodificata semplicemente cambiando il livello di assunzione di proteine.  Una riduzione dell’assunzione di proteine come quella effettuata nella ricerca originale in India (dal 20% al 5%) non solo diminuiva sensibilmente l’attività enzimatica, ma lo faceva con grande rapidità. Che cosa significa? La riduzione dell’attivitàenzimatica mediante diete a basso contenuto proteico implicava che meno aflatossina venisse trasformata nel pericoloso metabolita dell’aflatossina, potenzialmente ingrado di legare e mutare il DNA.Decidemmo di analizzare questa implicazione: una dieta a basso contenuto proteico diminuiva effettivamente il legame del prodotto aflatossina con il DNA, dandocome risultato una minor quantità di addotti? Una studentessa del mio laboratorio,Rachel Preston, fece l’esperimento (Grafico 3.3), dimostrando che minore era il consumo di proteine, minore era la quantità di addotti aflatossina-DNA 23 . A quel punto avevamo una prova straordinaria del fatto che una bassa assunzionedi proteine potesse ridurre notevolmente l’attività enzimatica e prevenire il pericoloso legame cancerogeno con il DNA. Si trattava di scoperte davvero impressionanti.Le informazioni potevano addirittura essere sufficienti per “spiegare” come il consumo di una minor quantità di proteine porti a una riduzione del cancro, ma noi vole vamo saperne di più ed essere doppiamente sicuri di questo effetto, così continuammo a cercare altre spiegazioni. Con il passar del tempo avremmo scoperto qualcosadi veramente notevole. Quasi tutte le volte in cui cercavamo un modo o un meccanismo tramite il quale le proteine lavorano per produrre i propri effetti ne trovavamo  uno! Per esempio, giungemmo a scoprire che le diete a basso contenuto proteico o iloro equivalenti, riducono i tumori attraverso i seguenti meccanismi:• nella cellula entrava meno aflatossina 24 ‘ 26 ;• le cellule si moltiplicavano più lentamente 18 ;• all’interno del complesso enzimatico si verificavano cambiamenti molteplici perridurne l’attività 27 ;• la quantità di componenti critiche degli enzimi rilevanti veniva ridotta 28,29 ;• si formavano meno addotti aflatossina-DNA 23,30 .L’aver trovato più di una modalità (meccanismo) di funzionamento delle diete abasso contenuto proteico era illuminante e aggiungeva un bel po’ di peso ai risultatidei ricercatori indiani. Suggeriva anche che, nonostante gli effetti biologici venissero spesso descritti come operanti attraverso singole reazioni, era più probabile cheoperassero attraverso un gran numero di varie reazioni simultanee, che con ogni probabilità agivano in maniera altamente integrata e concertata. Poteva voler dire che ilcorpo è dotato di numerosi sistemi di riserva nel caso in cui uno venisse in qualche  modo bypassato? Negli anni seguenti, man mano che la ricerca proseguiva, la veritàdi questa tesi divenne sempre più evidente.Dalla nostra ricerca estensiva sembrava emergere un concetto chiaro: una minor assunzione di proteine riduceva clamorosamente l’iniziazione tumorale. Questascoperta, seppure ben documentata, sarebbe stata vista da molti come estremamente provocatoria. 3.5 . Tornando all’esempio del prato, l’aver messo i semi nel terreno è stato il processodi iniziazione. Alla fine, grazie a diversi esperimenti, avevamo scoperto che, al momento della semina, una dieta a basso contenuto proteico poteva ridurre il numerodi “semi” nel nostro prato “canceroso”. Si trattava di una scoperta incredibile, madovevamo fare di più. Ci chiedevamo che cosa accadesse durante la fase di promozione del cancro, quello stadio reversibile di cruciale importanza. I benefìci del basso consumo di proteine acquisiti durante l’iniziazione sarebbero proseguiti anchenella fase di promozione? A livello pratico era difficile studiare questo stadio del cancro per motivi di tempo e denaro. Si trattava di uno studio dispendioso che avrebbe permesso ai ratti di vivere fino a sviluppare un tumore completo. Ognuno di quegli esperimenti avrebberichiesto più di due anni (la normale durata di vita dei ratti) e sarebbe costato benoltre 100.000 dollari (e oggi una somma ancora superiore). Per rispondere alle nostrenumerose domande non potevamo procedere studiando lo sviluppo dei tumori completi: se avessimo fatto così, oggi sarei ancora in laboratorio, dopo trentacinque anni!Fu allora che venimmo a conoscenza di alcuni lavori entusiasmanti appena pubblicati da altri 31 che mostravano come misurare minuscoli grappoli di cellule simili aquelle cancerose che compaiono non appena l’iniziazione è stata completata. Questigrappoli microscopici di cellule venivano chiamati foci.I foci sono grappoli di cellule precursori che crescono fino a trasformarsi in tumori. Nonostante la maggior parte dei foci non evolva in cellule tumorali complete,sono predittivi dello sviluppo di un tumore.Osservando lo sviluppo dei foci e misurando la quantità presente e le dimensioniche raggiungevano 32 , fummo in grado di apprendere indirettamente anche come si sviluppano i tumori e quali possono essere gli effetti delle proteine. Studiando gli effettidelle proteine sulla promozione dei foci invece che dei tumori, potemmo evitare di trascorrere tutta la vita a lavorare nel laboratorio e risparmiammo milioni di dollari.Quello che avremmo scoperto era davvero notevole: lo sviluppo dei foci dipende va quasi completamente dalla quantità di proteine consumate, indipendentemente dalla    quantità di aflatossina consumata!  La scoperta venne documentata in molti modi interessanti, i primi ad opera deimiei dottorandi Scott Appleton 33 e George Dunaif  4 (il Grafico 3.4 mostra un tipico confronto). Dopo l’iniziazione con l’aflatossina, i foci crescevano (erano in fase di promozione) molto di più con la dieta con il 20% di proteine che con quella con il 5% 33,34 .Fino a questo punto, tutti gli animali erano stati esposti alla stessa dose di aflatossina, ma che cosa sarebbe successo se l’esposizione iniziale all’aflatossina fosse statamodificata? Le proteine avrebbero ancora avuto qualche effetto? Analizzammo laquestione somministrando a due gruppi di ratti rispettivamente una dose elevata diaflatossina e una dose bassa di aflatossina, insieme a una dieta standard di base. Diconseguenza i due gruppi di ratti diedero inizio al processo tumorale con diversequantità di “semi” cancerosi iniziati. Poi, durante la fase di promozione, somministrammo una dieta a basso contenuto proteico al gruppo che aveva ricevuto una doseelevata di aflatossina e una dieta ad alto contenuto proteico al gruppo che aveva ricevuto una bassa dose di aflatossina. Ci chiedevamo se gli animali che partivano conmolti semi cancerosi fossero in grado di superare la loro situazione critica grazie auna dieta a basso contenuto proteico. Ancora una volta i risultati furono notevoli (Grafico 3.5): gli animali che partivano con la massima iniziazione cancerosa (dose elevata di aflatossina) sviluppavano una quantità considerevolmente inferiore di foci  se nutriti con una dieta con il 5% diproteine. Viceversa, gli animali entrati nella fase di iniziazione con una dose bassa diaflatossina producevano una quantità sensibilmente maggiore di foci  se in seguito veni vano alimentati con la dieta costituita per il 20% da proteine.Stavamo stabilendo un principio. Lo sviluppo dei foci, inizialmente determinatodal grado di esposizione al carcinogeno, di fatto dipende molto di più dalle proteinealimentari consumate durante la fase di promozione. Nel corso della promozione, le 5% 20% Livello di proteine alimentari Alta somministrazione di AF Bassa somministrazione di AFBassa somministrazione di proteine Alta somministrazione di proteine Grafico 3.4 – Proteine alimentarie formazione di foci. Grafico 3.5 – Dose carcinogena in rapportoall’assunzione di proteine.  proteine hanno la meglio sul carcinogeno, indipendentemente dall’esposizione iniziale Con queste informazioni di base, progettammo un esperimento molto più rilevante.Di seguito ne forniamo una sequenza passo dopo passo eseguita dalla mia dottorandaLinda Youngman 35 . Tutti gli animali ricevettero la stessa dose di carcinogeno, dopodiché furono nutriti alternativamente con il 5% o il 20% di proteine alimentari nel corso delle dodici settimane della fase di promozione. Dividemmo questa fase in quattroperiodi, ciascuno di tre settimane. Il periodo 1 rappresenta le prime tre settimane, ilperiodo 2 rappresenta le settimane che vanno dalla quarta alla sesta, e così via.Quando agli animali venne somministrata la dieta costituita per il 20% da proteine durante i periodi 1 e 2 (20-20), i foci continuarono a ingrandirsi, come ci eravamo aspettati. Ma quando gli animali furono fatti passare alla dieta a basso contenutoproteico all’inizio del periodo 3 (20-20-5), lo sviluppo dei foci subì un brusco calo.Quando poi gli animali furono riportati alla dieta con il 20% di proteine durante ilperiodo 4 (20-20-5-20), lo sviluppo dei foci fu riattivato.In un altro esperimento, nelle cavie nutrite con il 20% di proteine alimentari durante il periodo 1, ma fatte passare al 5% durante il periodo 2 (20-5), lo sviluppo deifoci fu bruscamente ridotto. Quando però agli animali venne somministrato di nuo vo il 20% di proteine alimentari nel periodo 3 (20-5-20), vedemmo un’altra volta losviluppo dei foci favorito dallo strabiliante potere di quelle proteine.Presi tutti insieme, questi numerosi esperimenti portavano a conclusioni radicali:la crescita dei foci poteva essere invertita, verso l’alto o verso il basso, modificando ladose di proteine consumate, e questo ad ogni stadio di sviluppo dei foci.Gli esperimenti dimostravano anche che il corpo è in grado di “ricordare” i primi insulti carcinogeni 35,36 , anche se questi potrebbero restare latenti in caso di bassoconsumo di proteine. In altre parole, l’esposizione all’aflatossina lasciava “un’impronta” genetica che restava latente con l’assunzione del 5% di proteine alimentari finoa nove settimane dopo, quando si risvegliava per formare foci in concomitanza conl’assunzione del 20% di proteine alimentari. In parole povere, il corpo non dimenticale offese. Questo suggerisce che, se in passato siamo stati esposti a un carcinogenoche ha dato inizio a un piccolo cancro rimasto latente, questo tumore potrebbe ancora essere “risvegliato” tempo dopo da una cattiva alimentazione.Questi studi dimostravano che lo sviluppo del cancro viene modificato da cambiamenti relativamente modesti nel consumo di proteine. Ma quando le proteinesono troppe o troppo poche? Servendoci dei ratti, esaminammo uno spettro di proteine alimentari comprese fra il 4 e il 24% (Grafico 3.6 37  ). I foci non si sviluppavano fino a circa il 10% delle proteine alimentari, mentre oltre il 10% il loro sviluppoaumentava considerevolmente di pari passo con l’aumento della percentuale di proteine alimentari. Gli stessi risultati furono ottenuti una seconda volta nel mio laboratorio da un professore ospite proveniente dal Giappone, Fumiyiki Horio 38 .La scoperta più significativa di questo esperimento fu che i foci si sviluppavano soloquando gli animali toccavano o superavano la quantità di proteine alimentari (12%) necessaria per soddisfare il loro tasso di crescita corporea 39 . In altre parole, quando le cavie toccavano o superavano il loro fabbisogno di proteine, aveva inizio l’insorgenza della malattia.  Nonostante le ricerche siano state condotte sui ratti, questa scoperta potrebberivestire una notevole importanza per gliesseri umani. Lo dico perché le quantità diproteine necessarie per la crescita nei ratti e negli esseri umani giovani, come purequelle necessarie per il mantenimento della salute nei ratti e negli esseri umani adulti, sono curiosamente simili 40,41 .Secondo la dose giornaliera raccomandata (RDA) di proteine, noi esseri umanidovremmo ricavare da queste sostanzecirca il 10% della nostra energia. Si tratta di una quantità parecchio superiore aquella effettivamente necessaria, ma datoche il fabbisogno può variare da individuo a individuo, si raccomanda il 10% diproteine alimentari per garantire un’assunzione adeguata praticamente per tutti.Quanto consuma normalmente la maggior parte di noi? E’ notevole vedere chela quantità è ben superiore al 10% consigliato. L’americano medio consuma il 15-16% di proteine. Questo ci mette a rischio diammalarci di cancro? Queste ricerche condotte su animali suggeriscono di sì.Il 10% di proteine alimentari equivale a mangiare 50-60 grammi di proteine al giorno, a seconda del peso corporeo e dell’assunzione totale di calorie. La media nazionaledel 15-16% corrisponde a circa 70-100 grammi al giorno, con gli uomini nella partesuperiore della scala e le donne in quella inferiore. In termini alimentari, ci sono circa12 grammi di proteine in 100 calorie di spinaci (425 grammi) e 5 grammi di proteinein 100 calorie di ceci crudi (poco più di 2 cucchiai da tavola). Ci sono circa 13 grammidi proteine in 100 calorie di bistecca di manzo scelto (poco più di 42,50 grammi).Un’altra domanda era se l’assunzione di proteine potesse modificare l’importantissima relazione fra la dose di aflatossina e la formazione di foci. Di solito una sostanza chimica non è considerata cancerogena, a meno che in dosi più elevate producauna maggior incidenza di cancro.Per esempio, man mano che la dose di aflatossina aumenta, la crescita di foci e tumore dovrebbe aumentare in maniera corrispondente. Se non si osserva un aumentoin risposta a una sostanza a sospetta attività carcinogena, sorgono seri dubbi sull’effettiva cancerogenicità della sostanza.Per esaminare la questione dose-risposta, a dieci gruppi di ratti vennero somministrate dosi crescenti di aflatossina, e poi livelli regolari (20%) o bassi (5-10%) diproteine durante la fase di promozione . Come ci si era aspettato, negli animali nutriti con il 20% di proteine i foci aumentarono di numero e dimensioni nel momento in cui venne aumentata la dose diaflatossina. Il rapporto dose-risposta era forte e chiaro. Tuttavia, negli animali nutritisolo con il 5% di proteine, la curva dose-risposta era sparita completamente. Non ceranessuna reazione da parte dei foci, neppure quando agli animali veniva data la massima dose tollerata di aflatossina. Questo era l’ennesimo risultato a dimostrazionedel fatto che una dieta a basso contenuto proteico potrebbe annullare l’effetto cancerogeno di un carcinogeno potentissimo come l’aflatossina.E’ possibile che i carcinogeni chimici in generale non provochino il cancro, a meno che non ci siano le “giuste” condizioni nutritive? E’ possibile che per gran partedella vita siamo esposti a piccole dosi di sostanze chimiche cancerogene, ma che ilcancro non insorga a meno che non consumiamo cibi che promuovono e nutronolo sviluppo del tumore? Possiamo controllare il cancro mediante l’alimentazione? Complicazioni più ampie  Stava cominciando a emergere uno schema dalla coerenza impressionante: ser vendosi di un sistema altamente integrato di meccanismi, la caseina promuove lacrescita del cancro per due organi diversi, quattro carcinogeni diversi e due specie diverse. Si tratta di un effetto potente, convincente e coerente. Per esempio, la caseinainfluisce sul modo in cui le cellule interagiscono con i carcinogeni, sul modo in cui ilDNA reagisce ai carcinogeni e sul modo in cui crescono le cellule cancerose. La profondità e la coerenza di queste scoperte suggerisce fortemente che siano importantianche per gli esseri umani, per quattro motivi. Primo: ratti ed esseri umani hanno unfabbisogno quasi identico di proteine; secondo: negli esseri umani le proteine agiscono in pratica come agiscono nei ratti; terzo: il livello di assunzione di proteineche causa la crescita del tumore è pari al consumo umano; quarto: sia nei roditoriche negli esseri umani la fase di iniziazione è molto meno importante di quella dipromozione del cancro. Questo perché molto probabilmente nella vita di ogni giorno ci viene somministrata una certa “dose” di carcinogeni, ma che questi portino atumori conclamati dipende dal fatto che vengano o meno promossi.Nonostante mi stessi convincendo che l’aumento di assunzione di caseina favorisceil cancro, dovevo ancora stare attento a non generalizzare troppo. Era una scoperta eccezionalmente provocatoria che suscitava un feroce scetticismo, ciononostante questescoperte erano un indizio di quanto sarebbe venuto in seguito. Volevo ampliare ulteriormente le mie prove: che effetti avevano sul cancro altre sostanze nutritive e comeinteragivano con carcinogeni e organi diversi? Gli effetti di altre sostanze nutritive,carcinogeni o organi avrebbero potuto annullarsi reciprocamente o ci sarebbe potutaessere una coerenza di effetti per le sostanze nutritive contenute in certi tipi di alimenti? La promozione avrebbe continuato ad essere reversibile? In caso affermativo, ilcancro avrebbe potuto essere prontamente tenuto sotto controllo, e perfino fatto regredire, con la semplice riduzione del consumo delle sostanze nutritive che ne favorisconolo sviluppo e/o con l’aumento dell’assunzione di sostanze nutritive antipromotrici.Demmo inizio ad altri studi utilizzando varie sostanze nutritive differenti, compresele proteine del pesce, i grassi alimentari e gli antiossidanti noti come carotenoidi. Duemiei eccellenti dottorandi, Tom O’Connor e Youping He, misurarono la capacità diquelle sostanze nutritive di agire sul cancro al fegato e al pancreas. I risultati di questi  di molti altri studi dimostrarono che, nel controllo della promozione del cancro, l’alimenta zione è molto più importante rispetto alla dose del carcinogeno che ha provocato l’iniziazione.  L’idea che le sostanze nutritive influiscano sullo sviluppo del tumore principalmentedurante la promozione stava cominciando ad apparire come una proprietà generale deirapporti fra alimentazione e cancro. Il  Journal of the National Cancer Institute, la pubblicazione ufficiale dell’istituto nazionale americano dei tumori, prese nota di questi studi e presentò in copertina alcune nostre scoperte 52 .Stava inoltre cominciando a emergere un modello: le sostanze nutritive provenienti    dai cibi di origine animale incrementavano lo sviluppo dei tumori, mentre quelle prove nienti dai cibi di origine vegetale lo riducevano. Nel nostro vasto studio sui ratti contumori indotti dall’aflatossina, il modello era coerente, come pure nei topi con i genialterati dal virus dell’epatite B e negli studi effettuati da un altro gruppo di ricercatori sul cancro alla mammella e carcinogeni diversi. Negli studi sul cancro al pancreas esu altre sostanze nutritive, il modello era coerente 52,53 , come pure negli studi su carotenoidi antiossidanti e iniziazione del cancro 54,55 . Dalla prima fase costituita dall’iniziazione del cancro alla seconda, costituita dalla promozione del tumore, il modelloera coerente. Da un meccanismo all’altro, il modello era coerente.Così tanta coerenza era decisamente impressionante, ma un aspetto di questa ricercaesigeva che rimanessimo cauti: tutte quelle prove erano concentrate in studi sperimentali su animali. Pur essendoci forti argomentazioni a favore del fatto che quelle scoperte provocatorie fossero qualitativamente  rilevanti per la salute umana, non potevamoconoscerne la rilevanza quantitativa. In altre parole: quei principi relativi alle proteineanimali e al cancro erano di cruciale importanza per tutti gli esseri umani in tutte lesituazioni, o rivestivano solo un’importanza marginale per una minoranza di personein situazioni piuttosto singolari? Quei principi erano coinvolti in mille casi di cancroumano all’anno, in un milione di casi o in più casi ancora? Ci occorrevano prove direttericavate da studi su soggetti umani. L’ideale era che queste prove fossero raccolte conmetodologia rigorosa e indagassero in maniera esauriente i modelli alimentari, utilizzando un gran numero di soggetti con stili di vita e retroterra genetici simili, ma chepresentassero incidenze di malattia ampiamente differenziate.Nel migliore dei casi capita di rado l’occasione di poter fare uno studio del generema, con un incredibile colpo di fortuna, ci venne proprio data l’opportunità di cui ave vamo bisogno. Nel 1980 ebbi la fortuna di accogliere nel mio laboratorio uno scienziato estremamente gradevole e professionale proveniente dalla Cina continentale, il dott. Junshi Chen. Con quell’uomo straordinario sorsero le opportunità di cercare alcune verità più grandi. Ci fu data l’occasione di compiere uno studio su soggetti umani cheavrebbe fatto fare un salto di livello a tutti quei principi che avevamo cominciato ascoprire in laboratorio. Era giunto il momento di studiare il ruolo dell’alimentazione,dello stile di vita e della malattia con una completezza mai vista prima di allora nellastoria della medicina. Eravamo sulle tracce di The China Study

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