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ZeRo Metodo – Vol. 1 – Anteprima Cap. 4

  • Immagine del redattore: Z o
    Z o
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 8 min

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Il giorno dopo, Francesco e Zero, il tizio dell’omonimo metodo, si incontrarono all’interno di un teatro abbandonato.

Soltanto due spettatori di fronte a un palcoscenico vuoto.

La postazione di Francesco era morbida e confortevole da un lato, ruvida e scomoda dall’altro lato. Faceva fatica a rimanere comodo in quel luogo spartano, con quella postura sbilanciata. Probabilmente la comodità non era la priorità di Zero.

– “Ti senti scomodo?”, chiese Zero.

– “Non è evidente?”, rispose Francesco.

– “Sappi che la comodità non è quello che troverai in questo percorso. Presto scoprirai che la comodità a cui eri abituato faceva parte del problema da cui volevi liberarti”.

Francesco ascoltava a malapena quelle parole. L’unico suono che poteva udire era il cinguettio di alcuni uccellini che entravano ed uscivano dalle vetrate di quel teatro fatiscente.

La stanchezza si faceva sentire, soprattutto dopo due ore di perquisizione notturna nel negozio del suo cliente. Come se non bastasse, Zero gli aveva dato una complicata serie di istruzioni da seguire per arrivare in quel luogo abbandonato da Dio. Per arrivarci avrebbe dovuto prendere la sua Porsche, guidare fino a un paesino sperduto tra le colline, abbandonare la macchina a un paio di chilometri dal teatro e lasciare ogni apparecchio tecnologico sull’automobile.

Tutto quello che avrebbe dovuto portare era un taccuino su cui trascrivere le istruzioni del metodo zero. In questo caso doveva portare una trascrizione dettagliata della sua vita.

La mente di Francesco era piena di domande, dubbi, perplessità, però percepiva che avrebbe dovuto tenersele tutte per sé. Sicuramente l’incertezza era un altro fattore previsto da quel metodo.

Zero prese il taccuino e lo analizzò velocemente.

– “Tutto qui?”

– “Già. Ho avuto una vita breve ma intensa”, rispose Francesco.

Francesco non poteva aggiungere troppe informazioni personali, altrimenti rischiava di far trapelare dettagli sgradevoli, dettagli tipici da criminale. Il suo unico obiettivo era quello di sbarazzarsi del dispiacere che lo tormentava da molti anni. Cercava qualcuno che potesse tirarlo fuori da quel tunnel insoddisfacente. Tutti i diversivi che aveva impiegato in passato non facevano altro che spingerlo da un’insoddisfazione all’altra. Ogni volta che si sballava per tirarsi su, finiva più giù di prima.

Gli venne in mente quella volta in cui qualcuno sbagliò a tagliare e regolare il dosaggio dell’allucinogeno di turno. Tuttora non ha idea di cosa avesse assunto, ricorda solo che nel giro di un’ora stava tremando come un cagnolino fradicio, ma anziché essere intriso d’acqua era ricoperto di sudore. Tremava, sudava freddo, balbettava. Sentiva che la sua mente stava intraprendendo un bad trip. Sembrava un esorcismo al contrario, dove anziché far uscire la presenza malefica si stava facendo risucchiare dal maleficio, scivolando in basso verso i gironi infernali.

Ma stranamente non c’era nessuna visione stravagante.

Niente allucinazioni spaziali.

Niente demoni, nessun mostro che lo inseguiva.

Peggio. Il mostro era lui stesso. E ai suoi occhi sarebbe rimasto un mostro per molto tempo.

Uscito da quel bad trip interruppe per sempre l’uso di sostanze allucinogene.

Oramai aveva capito che qualunque cosa tentasse di fare non lo avrebbe fatto uscire dal sottile disagio della vita quotidiana. Anziché vivere esperienze di vetta, ripiombava puntualmente in un abisso sempre più cupo e profondo. In fondo, quell’abisso è lo stesso abisso in cui si trova qualunque altro essere umano.

L’unica cosa che ai suoi occhi poteva consentirgli di uscire da quell’abisso era appunto quello strambo metodo che vide su quel volantino. Per lui poteva rappresentare l’occasione per una trasformazione, una redenzione, una purificazione. Quel breve resoconto che consegnò trasmetteva appunto questo costante disagio esistenziale.

Il resoconto della sua vita non venne apprezzato da Zero. Non tanto perché mancavano troppi dettagli ma perché era troppo vago, superficiale e disordinato.

– “Da questo resoconto si evince che ti senti imprigionato, oppresso, tormentato. Ma quale credi che sia il problema?”

– “La pessima educazione impartita dai genitori? La cattiva compagnia adolescenziale?”

– “No. Non tirare a indovinare”.

– “Forse il mio carattere?”

– “Sii più preciso. Guarda più a fondo”.

– “Il problema è che mi sento imprigionato in un abisso di insoddisfazione”.

Francesco sperava che con questa confessione sarebbe potuto risalire da quell’abisso esistenziale. Non poteva sospettare che la via d’uscita prevista da quel bizzarro metodo consisteva nel penetrare profondamente l’abisso in cui si sentiva imprigionato.

– “Fra, il problema sei tu. Il problema è la tua persona. E se il problema è la tua persona ne consegue che per sbarazzarti del problema dovrai sbarazzarti della tua persona”.

Quelle parole non avevano alcun senso per Francesco.

Che cazzo stava dicendo quel tizio?

– “Il problema sono io? Forse intendi dire che il problema è il mio cervello?”

– “Se vuoi metterla in questi termini, possiamo dire che il problema è l’io. O se vuoi dare la colpa al cervello possiamo dire che il tuo cervello, ora come ora, ti vuole uccidere.

Il tuo sistema cognitivo è un sistema rincoglionitivo. È come se il naturale istinto di sopravvivenza fosse stato soppiantato da un altro istinto, un istinto suicida. In questo momento il tuo cervello si sta comportando da killer.”

Francesco sorrise all’idea di un cervello killer: “Questo tuo esempio non mi aiuta molto…”

Zero indietreggiò con la schiena e si rilassò sulla poltroncina del vecchio teatro.

– “Una volta lessi un articolo su una rivista scientifica. Discuteva del principio della leva. Maggiore è la distanza della pressione, minore è lo sforzo richiesto. Il nostro metodo è come una leva inversa: più sei vicino alla sorgente, meno ti devi sforzare. La sorgente (dei tuoi problemi) in questo caso consiste nella mente, in generale grossolanamente rappresentata soltanto dal concetto di cervello. Per cui la tua risposta in merito alla causa dei tuoi problemi non è del tutto sbagliata. Noi faremo leva su di lui, sul tuo cervello, oppure su di lei, sulla tua mente. Il tuo cervello è stato erroneamente impostato per ucciderti metaforicamente, cioè per spegnere ogni fuocherello di benessere. Noi andremo a resettare e reimpostare il sistema cognitivo e percettivo. Di solito le persone tentano di alterare il proprio umore cambiando abitudini, amicizie, alimentazione, ma quello vuol dire spingere sulla parte sbagliata della leva interiore. Quel metodo richiede molta fatica e produce pochi risultati. Il metodo zero è più rapido e diretto. Attacca direttamente l’hardware del sistema cognitivo, avvicinandosi alla sorgente e toccando direttamente i circuiti che provocano sofferenza inutile. Considera ad esempio il neuro circuito della dipendenza…”

– “Mai sentito, ma farò finta di prenderlo in considerazione”.

Zero ignorò quella frase.

– “C’è un aggregato di neuroni raggruppato nell’area tegmentale ventrale, quella zona del cervello che si occupa di enfatizzare qualunque tipo di esperienza gradevole. Questo gruppo di neuroni si attiva ogni volta che il tuo corpo percepisce qualcosa che sembra positivo, vantaggioso o piacevole: il bambino mette in bocca una caramella e l’area tegmentale si attiva. Un’altra caramella e boom… i neuroni si accendono così rapidamente che potrebbe bastare la vista (o il pensiero) di una caramella per riprodurre quella reazione. Questo ovviamente vale per tutto il resto. Viene rilasciata una dose di dopamina, la quale induce un senso di appagamento momentaneo, e nel giro di poco tempo ti ritrovi a rincorrere ciò che potrebbe stimolare quel passeggero senso di appagamento. Purtroppo quel senso di soddisfazione dura troppo poco e il cervello comincia a gridarti: ‘Wow, mi piace, ne voglio di più!’.

Più viene stimolato quel gruppo di neuroni, più intenso e frequente sarà quel bisogno di appagamento passeggero. Tra l’altro quell’appagamento non è reale appagamento. Si tratta di una pseudo-soddisfazione, dunque di una forma di insoddisfazione. Ciononostante ci si sentirà quotidianamente bombardati da una scarica di neuro connessioni, fino a quando serviranno stimoli sempre più intensi per provare il precedente senso di appagamento. Questo principio non vale solo per i tossicodipendenti. Tutti siamo un po’ drogati e tutto può diventare una droga…”

– “Vuoi dire che posso diventare dipendente da qualunque sciocchezza?

In base a questo principio, anche passeggiare sulla spiaggia può diventare una dipendenza…”

– “Esatto, Francesco. La tua mente, o il tuo cervello, vorrà presto una spiaggia diversa, un altro mare, un miglior tramonto…”

– “Dunque qual è la via d’uscita?”

– “Interrompere questa interminabile ricerca di un appagamento fittizio, immaginario, virtuale. Alcuni si limitano a sostituire una cattiva abitudine con una buona abitudine, oppure provano a sostituire un pensiero negativo con uno positivo. Che cazzata. Qui non vogliamo rincorrere disperatamente pensieri positivi o sensazioni gradevoli. Tentiamo di produrre un cortocircuito, resettare quel circuito neurale che ti illude di provare piacere mentre stai provando dispiacere”.

Francesco stava valutando seriamente quella tragicomica dinamica: inseguire il piacere per finire nel dispiacere.

Non era forse quello che lui aveva fatto per tutto questo tempo?

– “Ora amico mio immagina di poter abbandonare tutto quel dispiacere. Se però esso è collegato a un piacere fittizio dovrai sbarazzarti anche di quel piacere. Ma sapendo che è fittizio non proverai dispiacere nel rinunciare a quel finto piacere”.

– “L’idea mi piace, ma puzza di Buddhismo”.

– “Ci sono inevitabilmente dei parallelismi. In fondo le nobili verità realizzate dal Buddha non sono così lontane dalle moderne scoperte neuroscientifiche. Quel saggio si era limitato ad osservare a fondo i fenomeni quotidiani. Però questo metodo non contempla tutta quella serie di precetti, regole, paradigmi e credenze che purtroppo appesantiscono e distorcono le scoperte di quel saggio, o di altri saggi…”

– “Perché non posso resettare il cervello da solo? Non posso chiudermi in una stanza o in una grotta, meditare per ore fino all’illuminazione o almeno fino alla guarigione? In quel modo non potrei azzerare la mia area ventricolo qualcosa…?”

– “Si, potresti. Ma quasi sicuramente non lo farai. Se tra l’altro non è necessario isolarsi e vivere in quel modo per ottenere il risultato desiderato, perché perdere tempo percorrendo quella lunga e brutta strada?

E poi a un ragazzo come te serve un metodo differente, più moderno, più diretto!”

Zero prende di nuovo il taccuino, legge qualche riga e guarda di nuovo Francesco.

– “Ti avevo chiesto di ricapitolare i momenti principali della tua vita e quelli che vedo non sembrano eventi molto speciali. Dovevi delineare il tuo personaggio, metterne in scena gli attimi salienti, gli istanti più significativi. L’obiettivo era quello di rivedere non solo il tuo passato ma anche l’intera esistenza della tua persona sotto un nuovo punto di vista. Rivedere la tua persona da un punto di vista impersonale.”

– “Rivedere la mia persona da un punto di vista non personale?”

– “Esatto, proprio come se fosse un personaggio teatrale”.

Francesco cominciò ad intuire il motivo per cui si erano ritrovati lì.

– “In questo caso però il personaggio teatrale sei tu, caro Francesco. O meglio, il personaggio è la persona con cui sei identificato. Ora come ora ti senti un tutt’uno con quel ridicolo personaggio. Lo chiami io, lo difendi ogni giorno, lo alimenti. Peggio ancora lo tratti da miglior amico quando nei fatti si tratta del tuo peggior nemico”.

– “E come faccio a riconoscerlo?”

– “Semplicemente è quello che chiami “io”. Si tratta proprio di quel pensiero (o di quell’immagine mentale) che richiami alla mente tutti i giorni, ininterrottamente, dalla mattina alla sera. Stiamo parlando di lui, anzi di te in stato di incoscienza, addormentamento, rincoglionimento”.

Francesco non ci capiva più un tubo.

A chi si doveva rivolgere?

Parlavano di lui o di un altro?

Lui non era davvero lui?

La coscienza di sé stava vacillando.

– “Francesco, la tua coscienza non è tua. La cosiddetta coscienza di sé non è la coscienza di ciò che si è, ma la coscienza di ciò che non si è. La coscienza di sé è la coscienza di ciò che non sei”.

– “La coscienza di me è la coscienza di ciò che non sono?”, farfugliò Francesco.


– “Sai vero che mi stai mandando il cervello in pappa con questi ragionamenti contorti?, puntualizzò Francesco – “Per giunta nel bel mezzo della notte, in un teatro sperduto tra le colline”.

Fine anteprima

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